Naomi Osaka, la sua vita le importa

20 Luglio 2021 di Stefano Olivari

Naomi Osaka parteciperà al torneo di tennis di Tokyo 2020, o per lo meno mentre scriviamo queste righe non ha ancora detto di no. Non c’è dubbio che avrà addosso tutta la pressione del Giappone, nonostante lei sia americanissima per cultura e soprattutto biografia, visto che il Giappone (sua madre è giapponese, suo padre di Haiti) l’ha lasciato all’età di tre anni e non parla la lingua, anche se un po’ la capisce. Comunque in preparazione ai Giochi abbiamo appena terminato di guardare su Netflix la serie a lei dedicata, Naomi Osaka (non si sono sforzati con il titolo), tre episodi che fanno riflettere anche sulle sue recentissime vicende.

Saltiamo subito il discorso ideologico su queste operazioni: tutto è volto a mostrare una determinata immagine della Osaka, su sua concessione o ispirazione, quindi non è un documentario giornalistico. Questo non toglie che il lavoro di Garrett Bradley sia molto interessante e che la forza delle immagini e dei dettagli abbia una sua parte di verità, difficile da nascondere o camuffare. Impossibile guardare la serie senza pensare allo scleramento della Osaka a Parigi, quando ha deciso di non parlare con i media, e alla sua assenza a Wimbledon. Stiamo parlando di quella che è la vera numero 1 del tennis femminile al di là del ranking del momento, una che a 23 anni ha già vinto due US Open e due Australian Open.

In Naomi Osaka si vede una ragazza-donna timida e intelligente, schiacciata dal suo non essere né di qua né di là, con la razza che alla fine è il minore dei problemi. Una persona, la Osaka, che si rende ben conto della stupidità intrinseca del dedicare dieci ore al giorno a colpire una pallina da tennis, ma che non vuole deludere nessuno. Nemmeno sé stessa, essendole ben chiari i sacrifici fatti per arrivare dove è. Fra dieci anni magari proporrà un Open al femminile, per adesso si limita a smarcarsi, almeno nell’extra tennis, dai genitori (soprattutto dal padre Leonard, che ha come modello dichiarato Richard Williams), con incursioni in altri campi come moda e anche politica, essendo stata una dei pochi nel mondo del tennis (questo però torna ad onore del tennis) a farsi prendere da Black Lives Matter. Certo uno spacciatore statunitense maltrattato dalla polizia fa più notizia di un haitiano che muore di fame per strada, ci sono black lives e black lives.

Rimane il fatto che la Osaka sia una delle poche donne del tennis di oggi ad avere una personalità interessante, pur essendo la vita di tutte abbastanza simile e con ritmi simili. Si è stancata di aderire a un modello imposto da altri e sta facendo di tutto per proporne uno lei, anche se non sa ancora bene quale. Di certo sul cemento, come quello di Tokyo, quando è un minimo centrata non la può battere nessuno. Grandissima e con altri capitoli da scrivere, al di là delle vittorie che interessano solo a noi fanatici del tennis, convinti che chi non rispetta il proprio talento sia da biasimare. Per tutto ciò che ha dentro è difficile che la Osaka abbia una carriera lunghissima, a meno di prendersi delle pause in stile Serena Williams. La sua vita inizia ad importarle e di solito i tennisti calano di cilindrata nel momento stesso in cui iniziano a pensare.

Share this article