Miss Americana, la scoperta di Taylor Swift

7 Aprile 2020 di Indiscreto

Taylor Swift: Miss Americana è uno di quei documentari di Netflix dalla confezione perfetta ma privi di una qualsiasi profondità. È quasi sempre così, quando si racconta il dietro le quinte di una star, visto che dietro le quinte si va su concessione della star stessa. Che nel caso di Taylor Swift attraverso Miss Americana, dallo scorso gennaio visibile appunto su Netflix, ha l’obbiettivo di riposizionarsi come immagine dopo le sue prime due vite artistiche, a soli 31 anni.

La prima vita da stella del country-pop che ha fortemente voluto esserlo (i genitori si traferirono a Nashville apposta per lei, quando ancora era una bambina), la seconda da icona pop bianca per bianchi, tutta lustrini e paillette. La terza dovrebbe essere da donna matura, che interviene nel dibattito politico senza badare agli hater e a chi si sente offeso per una qualsiasi presa di posizione.

Nel documentario, che abbiamo guardato in quanto ascoltatori della prima Taylor Swift (i primi quattro album, fino a Red compreso) che a volte ci ricordava Faith Hill, queste prese di posizione sono abbastanza blande: chi sarebbe, a parte qualche criminale, a favore della violenza sulle donne o dell’emarginazione dei gay? Certo sono temi, secondo il luogo comune democratico, che lasciano indifferenti il medio ascoltatore del country o lo spettatore della NASCAR.

Si capisce che la Swift voglia essere inattaccabile dal giornalista collettivo e che sogni di diventare un caso politico come furono, per fare un esempio country al femminile citato nel documentario, le Dixie Chicks, ma la sensazione è che non possa sfuggire al suo destino di grandissima autrice di ciò che canta e di colonna dell’industria discografica, perché anche nell’era della musica liquida lei di dischi ne vende a decine di milioni.

Tornando al documentario, dopo avere apprezzato il gatto di Taylor Swift bisogna dire che sono tanti gli spunti lasciati cadere: il suo rifiuto di fare la sweetheart, la fidanzatina, che però con i suoi modi educati è esattamente l’immagine che ha, le enormi aspettative dei genitori nei suoi confronti (primi approcci con la discografia a 11 anni, contratto con la Sony a 16: siamo in zona Agassi), il disprezzo nei suoi confronti del machista mondo rap e black, gli schemi mentali dell’industria musicale. Alla fine la morale è sempre quella, oltre a fare merenda con Girella: l’artista si esprime con la sua arte. E Taylor Swift è un’artista vera, con un pubblico immenso: che è poi la cosa che davvero non le viene perdonata.

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