Mi ero scordato di me

22 Dicembre 2011 di Andrea Ferrari

di Andrea Ferrari
“Gaber non lascia alcun erede artistico, perché nessuno gli assomiglia. Qualche anno fa c’erano un paio di cantautori capaci di coniugare ironia, poesia e capacità di vivere gli umori dei propri tempi: si chiamavano Rino Gaetano e Franco Fanigliulo, ma sono scomparsi prima di lui”. Così il critico Gianni Lucini descrive uno dei grandi talenti caduti nel dimenticatoio della musica italiana. Definire da film la vita di Franco Fanigliulo, classe ’44, è persino riduttivo: di umili origini, la sua esistenza è profondamente intrecciata con il luogo dove ha sempre vissuto, La Spezia, un piccolo borgo cresciuto vorticosamente fino a diventare una città da oltre 100.000 abitanti dopo l’Unità d’Italia, dal momento in cui i Savoia decisero d’installare lì la Marina Militare e il relativo arsenale. Una scelta che tuttavia l’ha resa una enclave di povertà nel ricco nord Italia, sgangherata eppur bellissima.
Il giovane Fanigliulo, detto Fanii, fu pluriripetente nell’allora “Avviamento Professionale” e i ricordi della sua vita da studente mi arrivano da mio padre, suo compagno di banco, che lo ricorda come istrionico e geniale anche nell’evitare le interrogazioni, nonché perennemente alla ricerca di ritmi immaginari battendo con la mano su banchi e porte dell’aula di una classe segnata, come la vita di Franco, dalla passione per la musica e da una morte prematura, quella di un compagno di scuola rimasto fulminato dalla chitarra elettrica che lui stesso aveva creato.
Il successo arriva dopo una lunga gavetta a Sanremo ’79, quando il trentacinquenne Franco s’impose al grande pubblico con “A me mi piace vivere alla grande”, brano che giunse solo sesto, ma che fu considerato il vincitore morale di quell’edizione. Per certi versi quel brano fu, almeno nel titolo, precursore di un altro che ebbe anch’esso scarsa fortuna al festival, “Vita spericolata” di Vasco Rossi, suo ammiratore ed amico, un legame che tornerà a caratterizzare la vita di Fanigliulo qualche anno più tardi.
Nei primissimi anni ’80 un paio di altri album: “Ratatam pum pum” e “Benvenuti nella musica”. Ed il bellissimo 45 giri “La Libertè”  (“C’è un’amica che fa l’intellettuale ma dopo ci sta”) che, pur ottenendo apprezzamenti della critica, non riscossero il successo commerciale sperato. Fanii prese allora la decisione di dedicarsi alla vita di allevatore e contadino (da giovane era stato anche marinaio, taglialegna, garzone di bottega, rappresentante di prodotti di bellezza) a Vezzano Ligure, nell’entroterra spezzino.
Anni aspri, anche economicamente, finché due vecchi amici nel frattempo diventate star di prima grandezza di nome Vasco e Zucchero decidono di dargli un’altra chance. Vasco lo ingaggia per la sua etichetta “Bollicine” e vuole anche produrlo personalmente mettendogli a disposizione il suo team composto da gente del calibro di Gaetano Curreri degli Stadio e Massimo Riva, per registrare quello che doveva essere l’album del grande ritorno dal titolo “Sudo ma godo” e poi uscito postumo come “Goodbye mai”. Con Zucchero collabora alla realizzazione di “Blue’s” dell’87, che vendette oltre 1 milione di copie. Sulla vita di Franco sembrava esser tornato il sereno e da lì a poco sarebbero partiti altri progetti finché non giunse una maledetta emorragia cerebrale ad ucciderlo una sera di gennaio dell’89.

Andrea Ferrari, 22 dicembre 2011

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