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L’ultima frontiera di Spock

Paolo Morati 28/02/2015

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Diario del Capitano, data astrale… Avvicinandosi all’alba degli 84 anni Leonard Nimoy ha deciso di partire per un viaggio verso là dove nessun uomo è mai giunto prima. L’attore americano figlio di immigrati ebrei ucraini per molti rimarrà il signor Spock di Star Trek, probabilmente la serie fantascientifica più decisiva e famosa al mondo, tratteggiando un personaggio mezzosangue (vulcaniano e umano, si scoprirà) dalla ferrea logica e apparente assenza di emozioni che lo mettevano spesso a confronto con il capitano dell’astronave Enterprise James T. Kirk (William Shatner), deciso e dalle venature ironiche. Un’intuizione, quella di Gene Roddenberry ideatore della serie, con Spock che ne divenne l’immagine principale assumendo rapidamente il ruolo di icona del telefilm, in un crescendo di protagonismo con Kirk spesso impegnato nel comprenderne le espressioni insondabili, con una serie di rivelazioni successive nei film tratti dalla serie cominciata nel 1966 (49 anni fa…).

Ma Spock era anche le sue orecchie, anzi soprattutto quelle nell’immaginario dei ragazzi, a punta orientate verso l’alto così come le sue sopracciglia, verso l’Universo e oltre il Cosmo all’interno del quale la nave stellare Enterprise era stata lanciata nel 2266 in un viaggio quinquennale diretta all’esplorazione di strani, nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà. Mondi che venivano ricreati con fantasia e mezzi non certamente paragonabili a quelli che decenni dopo la rivoluzione della computer grafica sarebbe stata poi capace di produrre, appiattendo la realtà della fantasia per far posto a quella del virtuale. E proprio per questo là dove gli effetti non potevano stravolgere i sensi per coinvolgere ed emozionare, c’erano le trame e le relazioni di di Star Trek a tenerci incollati davanti al televisore (erano già gli anni Ottanta), e i personaggi così ben delineati. Non solo Spock e Kirk, ma anche l’irascibile dottor Leonard McCoy (spesso in conflitto con il vulcaniano per via della sua logica), l’affascinante tenente Uhura addetta alle comunicazioni, l’esperto Montgomery Scott mago delle macchine che spingevano l’Enterprise, il timoniere giapponese Sulu e il navigatore e ufficiale alle armi Pavel Chekov. Una squadra multirazziale, perfetta nelle interazioni e caratterizzazioni e studiata anche tenendo conto del momento storico particolare di realizzazione, dove ciascuno spettatore poteva individuare il suo preferito (l’idolo di un nostro caro amico era Scott) e che si trovava di volta in volta ad affrontare altre forme di vita o antagonisti bellicosi come i Klingon e infidi come i Romulani. Ma le battaglie erano solo un aspetto di qualcosa di più complesso e strutturato.

Vista oggi la serie classica di Star Trek potrebbe certamente far sorridere i nativi digitali con quelle tutine colorate a rivestirne gli attori e l’assenza di un sostanziale rumore esplosivo, ma nella realtà è stata decisiva, anticipatrice di trend e contenuti, di sogni tecnologici (il teletrasporto è ancora oggi un punto di riferimento nei dialoghi di ogni giorno quando si parla di tempo) e intuizioni che hanno poi trovato le proprie realizzazioni pratiche (ad esempio la comunicazione wireless con i dispositivi portatili). In tutto questo Spock era l’anello centrale dell’insieme, l’elemento catalizzatore dell’attenzione, l’immagine dell’autocontrollo e della soluzione, ma sì… anche dell’emozione vera. E il saluto finale a Leonard Nimoy ora non può che essere dato separando il medio e anulare della mano, allargando il pollice, orientandola questa e per l’ultima volta, verso l’Alto.

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