Lontani da Hermann e Chapuisat

17 Novembre 2009 di Alec Cordolcini

di Alec Cordolcini

1. La Svizzera campione del mondo under 17 è un evento che merita un paio di considerazioni. La prima riguarda i benefici che un bacino d’utenza multirazziale può portare ad un movimento calcistico. Non intendiamo fare demagogia spicciola né decantare i pregi del multiculturalismo, parliamo solo di calcio. Attualmente le varie selezioni giovanili nazionali rossocrociate sono un crogiolo di “secondos”, ovvero di persone che non hanno origini svizzere. Prendiamo i neo-campioni e leggiamo i cognomi: Ben Khalifa, Seferovic, Rodriguez, Xhaka, Goncalves, Hajrovic. Influenze tedesche, francesi o italiane non se ne notano. Questo miscuglio rappresenta una delle armi vincenti, tanto oggi per gli svizzeri quanto ieri per le selezioni giovanili della Germania, campione d’Europa under 17, under 19 e under 21.
2. In un momento storico in cui le tradizionali scuole calcistiche stanno perdendo la propria identità di fronte al processo di globalizzazione, le nazionali che riescono ad integrare con profitto al proprio interno il maggior numero di elementi “alieni” rispetto alla propria cultura calcistica partono avvantaggiate. Il giornalista Humberto Tan uno volta scrisse che “senza l’apporto della colonia del Suriname, il calcio olandese probabilmente sarebbe assomigliato a quello tedesco”. Il concetto è tutto qui. Un abisso sempre più grande separerà la Svizzera di Hermann e Chapuisat da quella del futuro. I cui limiti continueranno ad esserci, ma potranno essere superati da un ventaglio di soluzioni sconosciute in passato.
3. La seconda riflessione verte sul miglior giocatore dei giovani elvetici ai Mondiali nigeriani, ovvero l’attaccante Nassim Ben Khalifa. Nella nostra personale top five dei baby-campioni attuali lo collochiamo al primo posto, davanti al capocannoniere del torneo Haris Seferovic (compagno di Ben Khalifa nel Grasshopper), allo strepitoso portiere Benjamin Siegrist (scuola Basilea, oggi nell’Academy dell’Aston Villa, ottimo nei quarti con un rigore parato all’Italia, superbo in finale contro la Nigeria), al centrale difensivo Charyl Chappuis (anch’esso una “cavalletta”) ed al brillante Granit Xhaka (Basilea, centrocampista sia interno che esterno capace di coniugare ottimi mezzi tecnici con personalità e corsa).
4. In campo Ben Khalifa, classe 1992, ha mostrato una maturità nell’approccio alla partita ben superiore rispetto a quello di molti suoi coetanei tecnicamente al suo pari. Guardando oltre il gesto tecnico o le reti segnate, Ben Khalifa è piaciuto per la capacità di lettura delle varie situazioni di gioco. Poi si lancia un’occhiata alla sua scheda personale e si scopre che nella stagione attualmente in corso ha disputato 385 minuti di gioco in prima squadra nel Grasshopper, collezionando 9 presenze (alle quali vanno aggiunte le 3 nel campionato scorso) e 2 reti. A 17 anni giocare contro i propri coetanei per lui è già un’eccezione. Un vero calciatore si costruisce anche così.
5. La Svizzera under 17 non aveva mai vinto un Mondiale prima d’ora, fermandosi al successo agli Europei di categoria del 2002 con una squadra in cui spiccavano Senderos, Barnetta e Ziegler, oggi tutti nazionali maggiori. In Nigeria gli elvetici hanno vinto tutti gli incontri disputati. L’unico dubbio rimane legato alle future scelte dei “secondos”; rimarranno fedeli alla nazionale che li ha formati (come Inler, Behrami, Abdi, Dzemaili) o andranno ad arricchire (Rakitic, Kuzmanovic) quella della loro origini? Come ha scritto Paolo Galli su Il Giornale del Popolo, queste sono “Domande per il futuro. Il presente è d’oro e va vissuto pienamente”.
wovenhand@libero.it
(in esclusiva per Indiscreto, foto tratta da http://www.super-servette.ch/ )
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