Kevin Durant per Varese-Cantù

9 Ottobre 2014 di Stefano Olivari

La partita fra Alba Berlino e San Antonio Spurs ci ha riconciliato con la vita, non per la incredibile vittoria (visto anche l’inizio) della squadra tedesca contro i campioni rimasti giustamente uguali a se stessi, ma perché ha riportato sui nostri schermi il più grande spettacolo sportivo del mondo. Poi emozioni forti possono essere date, in certe circostanze, anche da un lottatore o da una fiorettista e in generale da ogni sport, ma a livello di media intensità la NBA non ha confronti. Di pochi giorni fa è la notizia che il valore televisivo della lega è ‘leggermente’ aumentato, dal 2016 al 2025 ESPN e TNT pomperanno nella NBA in pratica il triplo rispetto agli attuali 930 milioni di dollari annuali… Lo scenario è scontato: i giocatori chiederanno più soldi rispetto a quelli previsti dall’accordo del 2011 (con stagione iniziata il giorno di Natale), cioè il 50% del BRI (Basketball related income), per questi maggiori maggior introiti televisivi ma anche perché il valore di mercato delle franchigie NBA è aumentato in maniera pazzesca negli ultimi anni visto che la gente con soldi veri e voglia di visibilità planetaria non è diminuita. Dai 2 miliardi di dollari Ballmer-Clippers ad una cifra paragonabile che Prokhorov potrebbe incassare svincolandosi dai Nets, si capisce che il palcoscenico fa gola a moltissimi. Ma l’aspetto più sottile della questione, sottolineato non a caso da Mark Cuban, è che la nuova NBA accentuerà a dismisura una delle sue caratteristiche principali e per certi versi deteriori, cioè il campionismo. Cuban ha infatti preso bene, da imprenditore, la posizione di Kevin Durant sull’abolizione del tetto massimo ai contratti dei singoli, con un chiarissimo ”It’s a trade-off”. In altre parole, meglio dare molto di più ai fenomeni che fanno vendere biglietti e diritti televisivi che un po’ di più a tutti i 450 giocatori della lega. Un’ideologia che ha una traduzione tecnica in almeno due terzi delle squadre, costruite su animali da highlights  circondati da ‘Jordanaires’ (ma senza MJ). Quasi inutile ricordare che KD e LeBron James si presenteranno con le mani slegate all’estate del 2016, che magari nemmeno passeranno a Rio. Ma a quanto ammonta questo massimo salariale individuale che i big vorrebbero abbattere, con l’ausilio di qualche penna amica che magari butterà lì il termine ‘socialism’? Dipende dagli anni di anzianità, come al ministero. Nel caso concreto di un LBJ, dopo il 2016 con 13 anni NBA ‘maturati’ potrebbe chiedere, secondo l’accordo vigente, la somma a lui più favorevole fra 14 milioni di dollari, il 35% del salary cap (che come abbiamo visto è variabile) o il 105% dell’ultimo contratto (attualmente di 21 e rotti). Pensiero stupendo: l’onesto egoismo di proprietari e stelle può lavorare a favore dell’Europa, che ri-diventerà competitiva nella caccia di giocatori NBA ai confini del quintetto base. Ancora due anni di festival degli sconosciuti, come nemmeno ad Ariccia (da cui comunque sono usciti Baglioni e tanti altri), poi magari torneremo ad appassionarci a Varese-Cantù.

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