L’età di Tex

15 Aprile 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Esiste qualcosa di più triste di una sala Bingo? Forse no, ma la tristezza cresce se si pensa che dove oggi troneggia uno di questi monumenti alla fine dell’Occidente una volta esisteva un cinema. In quella sala milanese Gian Luigi Bonelli portò suo figlio Sergio a vedere Ombre Rosse (la prima volta per il ragazzo, la cinquantesima per il padre), traendo ispirazione per il personaggio che ci fa spendere l’impossibile per stare dietro a tutte le ristampe e alle pubblicazioni collaterali più assurde: parliamo ovviamente di Tex, che insieme agli altri eroi della Bonelli è stato celebrato l’altra sera alla Cineteca Italiana.
Piena all’inverosimile, non dei soliti quarantenni invecchiati male che infestano le mostre-mercato del fumetto (”Avrebbe il numero 137 della ristampa Tre Stelle?”) ammorbandoti con i loro racconti sulla striscia del 1948 trovata in solaio, ma anche di giovani e, rullo di tamburi, donne. Poco presenti nelle nostre vite così come in quelle del fasciocomunista liberale che fedelmente seguiamo dalla prima elementare: vorrà dire qualcosa? Bello il documentario sulla quotidianità della casa editrice, curato da Andrea Bosco, straordinarie le storie a margine di Sergio Bonelli. Che ha fatto molto più del pur mitico padre, anche se non lo ammetterà mai: editore di successo in un campo difficilissimo, autore sotto pseudonimo (Nolitta e tanti altri), viaggiatore ma con radici, uomo di cultura che non se la tira. Texiano del genere (relativamente) problematico, Bonelli junior (78 anni, ma junior) è riuscito a mettere tutto se stesso forse solo in Mister No: anti-eroe senza la retorica dell’anti-eroe, Jerry Drake non ha avuto secondo noi il successo che meritava. E Tex adesso come sta? Al netto delle mille ristampe (siamo caduti nella trappola a colori di quella di Repubblica, stamattina comprato il numero 168), dalle 500mila copie dei tempi d’oro adesso il numero mensile inedito vende circa la metà. Un’enormità, nell’era del web-televisiva: il bello è che non siamo ancora morti, pur avendo quasi raggiunto l’età teorica (oltre che eterna) del ranger.

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