Basket
Le braghe di Michael Jordan
Oscar Eleni 01/12/2012
Oscar Eleni dal dormitorio custodi del Miami Beach Country Club dove i portamazze stanno brindando per l’espulsione dal circolo di Michael Jordan che con i suoi pantaloni cargo stava rovinando il panorama nel lussuoso ritrovo per i milardari e famosi del mondo. Sta a terra, cazzo e poi datti una mossa perché se come giocatore eri immenso come dirigente non ti sei ancora fatto notare, pantaloni a parte. Bisognerebbe dirlo un po’ a tutti mentre la “razza stracciona” descritta così bene da Rizzo nel suo ultimo libro vorrebbe farci sentire colpevoli se gli gridiamo in faccia, ai tipi spiaggia, alle scimmie nasute, agli Iago del contado cestistico, che il nostro passato lo difenderemo sempre con amore e, cantando con la Mannoia, ringraziando il direttore del sito per quello che ha detto su di noi nel suo “Palalido incantato” al di là dell’amianto, urliamo a tutti, soprattutto a quelli che ci pisciano addosso, stracciando fotografie antiche, bastonatori da circolo M.H., servi sciocchi di ricchi scemi, di prestanome per progetti da scatola rossa, che “Non abbiamo proprio paura”, anche se ci metteranno in fondo alla fila: stringeremo i pugni e staremo ad ascoltarli, misurandoli e pesandoli.
Fine del viaggio onirico fermandosi, ancora un attimo alla piazzola NBA dove proprio Jordan vorrebbe farsi restituire da New Orleans il nomignolo Hornets che certo non sembra adatto alla Louisiana, perché dicono che l’insetto punga soprattutto a Charlotte. Boh. Tranquillo del nostro cuore risolvi l’arcano e intanto aiutaci a capire cosa significa il Banderas che compare nel libro di Ettore Messina, una lettura gradevole più del suo autore che non dovrebbe essere così manifesto quando urla ai siberiani il suo stupore per l’ingaggio di Mike D’Antoni da parte dei Lakers dove hanno dovuto blindare lo spogliatoio perché la gente non si tratteneva più dalle risate dopo aver letto una dichiarazione di Kobe Bryant il Mamba dove si dichiarava fiero per aver visto molte giovani stelle del circuito, che sta perdendo Stern, seguire i suoi dettami etici. Accidenti. Ma noi dovremmo saperlo vivendo con la razza stracciona che al mattino si alza sempre uno per mangiarti la faccia e urlarti che i suoi principi etici vanno oltre le cene eleganti con direttore e capo ufficio. Arsenio e i suoi merletti gialloviola per stendere Denver. Corri Michelino corri, come ti diceva Grigoletti che ci guarda ironico dal prato fiorito di Amblar, perché la compagnia delle opere è in caccia e pronta a mangiarti la coda se soltanto i Lakers dovessero cadere come nelle ultime trasferte.
Coccodrilli sull’attenti mentre va in archivio l’ottava di Eurolega che ci fa gridare dal pulpito la massima del Rinco Sur: ucci ucci sento odor di mensanucci e magari anche di Messinucci moscoviti se il tenebroso Teodosic diventa MVP della settimana nella gustosa e crautosa trasferta di Bamberg. Nota per i lettori: Messina ha cambiato sito, capita, per cui le note che gli mandavamo rimbalzano sulla cortina di ferro di casa CSKA, girategliele voi se potete, se volete, se….boh.
Cheope Minucci, il grande Khufu prima che Erodoto ce lo facesse conoscere come l’uomo della piramide più grande, ha guardato senza muovere un muscolo la nuova creatura costruita seguendo la legge di Beane ad Oakland, non soltanto statistiche, ma anche super radio sfasciate con una mazza. Eppure contro Malaga, il Repesa dei ricordi rancidi, questo Montepaschi ha toccato una cima nuova nella risalita verso sulla parete degli scudetti. Non è ancora la squadra ipotizzatata dal Banchi con le visioni del Crespi, ma certo ci si avvicina adesso che è stata ripulita la cucina, spolpati gli ossi che non davano brodo, gettati ai cani i presuntuosi che pensavano di poter imporre la loro legge nel campo verde di Agramante. Questi difendono, graffiano, c’è vita sul pianeta senese anche se qualche sedia resta vuota. Siamo davanti a qualcosa che noi disumani del basket non avremmo immaginato. Certo non sono più gli strafavoriti, ma attenti a questi lupi anche se li ha lasciati il piccolo principe impegnato a mangiarsi il fegato sul Bosforo, guai a sottovalutarli e il loro messaggio vale per tutti: quando costruisci parti dalle fondamenta difensive, poi vediamo come funziona. Ehi mogio bigio non ricordi che Milano se li è mangiati questi datteri senesi? Appunto. Da quel giorno, cari nemici in agguato, abbiamo visto rinascere una squadra mentre l’altra andava in giro a chiedere applausi come certi poveri animali al circo. Eh sì. Siena si è pentita e ha messo ai ceppi i finti giocatori. Ora avrà il problema del ritorno di Eze, non sapendo davvero dove potrà collocare Kemp che sembra un tipo da attacco dolce più che da difesa aspra.
Siena c’è. Milano, invece, ci sembra una strana combinazione di alunni della quinta B, quelli che rimandano tutto alle interrogazioni di fine anno. Certo che ci si guadagna il diploma, un titolo, con l’ultimo colpo di reni: caffè, luci accese fino a notte fonda, testa solo sull’esito finale, nozioni appiccicate e non digerite, comprese, fatte entrare sotto la pelle come diceva il vecchio insegnante di latino obbligandoti a leggere l’Asino d’oro prima dell’esame. Vorrebbero carezze e baci per aver sbranato Cremona, accidenti, Montegranaro, riaccidenti, la stessa Zagabria che ancora non aveva al timone l’ammiraglio Aza Petrovic figlioccio di Novosel il supremo, cercano di indorare ogni pillola e anche sulla partita persa contro l’inguardabile Vitoria di Tabak, chiedono di vedere il loro bicchiere, quello sempre mezzo pieno. Scariolo ha visto progressi, Cook ha detto che non tutto è andato male. Si parte tutti da zero nella seconda fase dicono al Lido mentre Livio Proli studia la parte del presidente scontento, ma non troppo, convinto che ci voglia pazienza e poi si è assicurato la fedeltà del branco facendo sapere che se Milano avanza ne traggono vantaggio tutti, dai pochi abbonati rimasti, a quelli che si mangiano le mani vedendo molte partite svendute. Siamo sicuri che hanno ragione. Perdere fa male, regredire tecnicamente come capita a qualche giovanotto è pericoloso, ma, certo se il tiro entra allora sono rose, poi serve la fase delle ginocchia sbucciate. Questi sono peccatori da penitenza tipo il Marchese del Grillo davanti allo spretato che voleva diventare papa, ma anche al pretone che confessa il bambino peccatore per troppe manovelle dandogli penitenze a forfait. Contro Kaunas vedremo il grande pentimento e questo Zalgiris è una squadra che può fare regali enormi, ma è anche gruppo dove, ogni tanto, fanno i cosacchi alla lituana che l’Olimpyakos ha smascherato molto plù della Zagabria infelice che per segnare 108 punti deve aver invitato il mago Merlino. Ci si rivede agli esami e smettetela voi corifei con l’orologio al polso da pubblicità in ultima pagina di menarla con la storia della Milano che rende pesante l’aria perché c’è troppa pressione. Di grazia, vostre signorie, chi la farebbe questa pressione? L’abbonato deluso che fischiava Bucchi, difendeva Caja, i quattro gatti delle sedie d’oro, la stampa sempre all’erta dove, a parte la Gazza degli orgasmi, nessun altro dedica interesse giornaliero alle scarpette rosse? Non prendiamo scuse, voi tenete segreti i vostri allenamenti e viene il dubbio che è in sala macchine che manchi l’olio di gomito, la lezione sulla vera fatica al di là delle cremine e se la gente balla sui tavoli e cerca fantasie esotiche va a pescare carpe sul Lambro.
Per Cantù un quasi congedo europeo con la sofferenza di non poter tenere la testa fieramente alta come all’entrata nel mondo delle 24 elette. Era tutto a posto, ma acido lattico e fatica mentale, se non li sai combattere, se fai di tutto per evitare che la mente guardi oltre il sogno, diventano nemici che poi ti spezzano in due: l’esordio sbagliato con Lubiana ha rovinato troppe cose all’interno del gruppo perché adesso, a parte far tremare Pianigiani e i suoi Fenerbacci scapigliati e scompigliati dal Real, restano i rimpianti per non aver calcolato che un nuovo acquisto poteva salvare ben sette incassi europei, non poco anche se con 300 mila euro non vai certo a comperare più di una triglia, perché i mancinelli (minuscolo, ma anche maiuscolo) disoccupati, i registi disperati alla ricerca di un copione costano tanto e poi sanno che se non mangi la loro minestra devi buttarti dalla finestra direttamente in cosiglio comunale dove non sanno ancora quando potranno dare il Palazzo al popolo cantuchiano. Cantù ci è piaciuta, quando avrà mente fresca potrebbe diventare un pericolo per tutti, ammesso che la coppia dei mori non vada in saudade irreversibile, nella speranza che Tabu sappia capire quando può fare il monello scapestrato e il cacciatore di frodo.
Finale da dedicare alla dedica dovuta, sentita, ne siamo sicuri, di Gianni Petrucci, al patriarcato del nostro caro Achile Dino Meneghin, non certo ai suoi Patroclo, alla corte dei frati minori tenuta insieme dagli interessi di stato anche quando ci sarebbe stato bisogno di mandare gli arbitri a quel paese e i creatori delle nuove formule di tesseremanto nel Mato Grosso dove non hanno problemi di affiliazione. Meneghin è stato grande nelle cose che sentiva ed amava, con la Nazionale ha fatto il massimo, ma poi si è confuso nelle stanze buie di via Vitorchiano perdendo entusiasmo e acquistando peso, solo corporeo, purtroppo. Gli serviva una squadra, non aveva il suo D’Antoni, il suo McAdoo, il suo Ossola, i suoi Zanatta, Morse e neppure i suoi Bisson o Gallinari, insomma vagava solo nel deserto vedendo oasi soltanto per miraggio. Ci mancherà se davvero decidesse di chiudersi fuori dalla porta che Petrucci gli ha spalancato. Nasce qui il movimento Dino ripensaci. Dai, dai, torna a casa e non fare il lesso. Urlate con noi.
Oscar Eleni, sabato 1 dicembre 2012