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Basket

L’anno nero del presidente Messina

Oscar Eleni 22/06/2020

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Oscar Eleni senza difese sotto cascate di retorica, baggianate, cercando  una liberazione fra i cambogiani nel parco di Phnom Kulen. Così lontano per non sentire i rutti della storia, adesso che la ripartenza mostra la vera faccia dei popoli. Cominciando dal calcio. Non c’era fame di gol, di belle giocate, la crisi vera nasceva dall’impedimento pandemico per queste pubblicità rivolte, senza vergogna, a chi non riesce davvero a vivere. Consumate gente, investite, anche se  vi hanno investito.

Magari fatelo sapere anche agli “editori” da 4 euro al pezzo che allo Stato vilipeso chiedono aiuto e cassa integrazione, senza ricordarsi mai di come si pagano le tasse. Spazio al grande circo, ci mancherebbe con tutto il benessere che distribuisce, dai magazzinieri alle sorelle di, alle rivendite di Lamborghini anche se qualche bel tomo urla alla gente di prendere  soltanto quattro soldi. Punti di vista non compresi da chi, con quei quattro soldi, ci camperebbe almeno due anni, se non una vita.

Estate per rivedere il vangelo dello sport, adesso che le società sportive vere sono considerate asteroidi in estinzione. Erano i mesi per ammucchiate dove si beveva e starnazzava senza limiti, ma, per molti, erano anche i giorni sacri da dedicare alle grandi feste sportive: Olimpiadi,  campionati mondiali, continentali. Niente. Solo calcio, magari la Formula uno, perché no il golf, così distanziato, poi il tennis, insomma tutto ciò che si può vendere come lo snooker e  le patatine. Per gli altri meditazione senza il coraggio di rivoluzionare, come dovrebbero fare gli sport prigionieri dei cavalieri con percentuale.

Sotto questa cascata di eroi per caso, di eroi veri e quindi non riconosciuti o riconoscibili tipo quell’infermiera arrestata a Parigi, i volontari messi in strada prima che la  Regione virtuosa si vergognasse, ci vorrebbero anche impedire di piangere se nella tragedia Zanardi pensiamo soltanto al grandissimo Alex e non a cercare colpevoli, lasciando spazio  a chi apre sempre un’inchiesta dopo la fuga dei buoi.

Zanardi onore del mondo, una grande vita combattuta davvero. Ci innamorammo dell’uomo prima di aver letto il suo bel libro, prima di incontrarlo a Monza dove capiredattori dispettosi ti mandavano anche se avevi detto mille volte che il rumore di quelle arene non poteva far dimenticare i finti Valentino Rossi e i finti piloti da rotonde sul viale, sgasatori per il terrore di chi attraversa su strisce pedonali mai protette, mai tenute in considerazione dagli stessi vigilanti che in pandemia scoprivano peccatori randagi, ma oggi ti ripetono che non hanno tempo per queste banalità, tipo i posteggi malvagi, le trappole enogastronomiche. Alex  raccontato così bene da Claudio Arrigoni, un credente così diverso dai troppi che vanno in giro cantando litanie per le loro casse smunte.

Mentre lassù prendono a calci non soltanto un pallone noi ci fermiamo deferenti come farebbe Fabio Monti, pensando all’ultimo viaggio di Mariolino Corso, un artista sul campo di calcio, per cui  abbiamo accettato senza protestare, la scomunica. Succedeva in una casa milanista, magari se tuo padre era “stato fedele guida nella buona e cattiva sorte” della guerra e della ripresa durissima, come quello descritto dalla pergamena regalatagli dai giocatori ancora prima dello scudetto del 1951.

Colpa dei Faina, Filippo interista doc, di sua madre, dinastia Rattazzi, che caricavano in macchina l’ex mascotte del Diavolo per andare a vedere la pazza Inter. Valeva la pena se c’erano Mariolino e Suarez, se giocava Mazzandro che nei tornei scolastici milanesi (lui era al Verri?) non te la faceva mai vedere quella palla di cuoio. Se amavi loro era scomunica, a letto senza cena anche se al ribelle, in passato, era stato perdonato  se provava simpatia quando giocava il Bologna di Haller e Bulgarelli, di Pascutti, perché quelli andavano spesso in ritiro a Zocca, feudo rossoblù, ma anche terra del ricordo per un campo intitolato a Trabattoni il presidente milanista prima dei Rizzoli. Corso, Herrera, l’Inter erano troppo  per chi già aveva dovuto accettare il tradimento del calcio per altri sport, tipo il baseball o il judo, per finire con il basket scoperto nella palazzina della Fiera che ora hanno venduto.

Già, il basket. Una bella arrampicata sugli specchi  per trovare un argomento che non fosse il comunicato federale sulla vittoria della Nazionale elettrica in non so cosa per la gioia di Pecile che era un bel tipo sul campo. Certo si guarda con stupore, più che con invidia, agli spagnoli che hanno resistito e ora hanno fatto ripartire il campionato. Petrucci, però, ha spiegato: loro hanno altre strutture. Vero.

Noi siamo ancora qui ad ascoltare il rumore del mare nelle conchiglie o, come ha fatto la Lega, riproponendo la voce di Alfredo Cazzola che non vedeva l’ora di poter spiegare come funzionava la sua bella squadra, quella con Tranquillo, Zanetti e Bassani in simbiosi con l’attuale presidente della Lega calcio più o meno tarlata come quella del cesto, quella che aveva trovato i miliardi di Kataweb prima che le solite faide interne facessero pagare all’inventore del Motor Show e di una bella Virtus il colpo di falce che fece dimettere Angelo Rovati e Crovetti, il rispetto delle regole, secondo il verbo della creazione porelliana, che aveva mandato in collisione Cantù e  la Siena di Minucci.

Interessante punto di vista, nella speranza che chi è stato attaccato possa rispondere sullo stesso sito, mentre bisogna dare atto a Messina che nell’anno quasi nero non ha perso il senso dell’umorismo. In forma come capita a chi soffre troppo la partita, confessione sua alla Agassi, l’allenatore dell’Armani rifatta quasi totalmente, cercando molto usato sicuro, ripudiando l’eredità lasciata dai predecessori, con una visione diversa dall’usa e getta, ma pur sempre legata al risultato da fare comunque, senza una vera visione per un domani che certo costringe a soffrire a scommettere e rischiare, per una creazione  che resti nel tempo e faccia crescere figli non settimini. Questo Ettorre battagliero che in molti considerano il grande battuto dell’anno in Italia, anche da chi fa sapere che non sarebbe uscito di casa per la vergogna, se avesse fatto un record come il presidente dell’Olimpia. Forse sono gli stessi non ricordano che  quando perdevano loro, magari una finale di coppa che ci fece rischiare la stima di Giorgio Lago, tutti noi gli dicevamo che non c’era vergogna, ma soltanto orgoglio per il lavoro che avevano fatto sul campo.

Dunque Messina che scherza con chi gli domanda cosa pensa dell’attacco dello Zanetti sior Segafredo virtussino su questa guerra dei ricchi che fa lievitare i prezzi: “Pensavo fosse Crozza nell’imitazione”. Certo nessuno si  stupisce se lievita il prezzo di Abass che poi va alla Virtus. Il ragazzo era stato preso da Milano, ma poi subito scaricato. Ora tornare a battersi per averlo aveva un senso tecnico, forse anche di riparazione, ma gli agenti ingrassano su queste cose e allora perché ridersi dietro. Succede da sempre. Se la Juve fa una mossa, l’Inter di Marotta contrasta, è sempre andata così fra le grandi società.

Meglio per la Virtus aver vinto almeno la corsa su due giovanotti come Abass ed Alibegovic che potrebbero essere un vero sguardo sul futuro per ora negato alla Milano stagionata e rinvigorita dal solo Moretti, sapendo che per far crescere lui dovrà stare spesso ai margini il capitano Cinciarini. Logico, giusto, ma è così. Caro basket stai a cuccia, soltanto dei credenti tipo Cappellari possono importunare al bar Urbano Cairo per avere più spazio in rosa venendo stoppati davanti al nuovo direttore lapidario: ”Più spazio per raccontare cosa?”

Figurarsi se troverebbero spazio per la disuputa sui migliori dei 50 anni, con NanGentile, Coldebella, Pozzecco e Basile che nel primo quintetto dove Peterson avrebbe messo McAdoo, avrebbero preferito Danilovic. Una bella discussione, un argomento come la scelta della  Virtus 2000-2001, Messina imperante ma sofferente nell’era Madrigali, come squadrone del cinquantenario. Forse a settembre, Forse mai.

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