L’Accademia dei Senzabrera

2 Maggio 2010 di Alberto Facchinetti

di Alberto Facchinetti
Gianni Brera è stato il giornalista sportivo più influente del secolo scorso. Rivoluzionario, soprattutto a livello linguistico: molti dei suoi neologismi fanno ancora parte del vocabolario italiano.
Per Antonio Dipollina “gira e rigira ci ritroviamo sempre a citare Brera, che era un caso super-unico, irripetibile nella storia e anche al mondo”. Quando morì il 19 dicembre 1992 in seguito ad un incidente automobilistico sulla strada tra Codogno e Casalpusterlengo, furono molti i giornalisti che ad un tratto sentirono di aver perso il loro maestro. Il giorno dopo la sua morte, Italo Cucci scrisse sul Corriere dello sport: “Ha lasciato una montagna di scritti, che all’improvviso diventeranno storia. Senza continuazione. Adesso che non c’è più, siamo tutti pari, tutti normali”. Candido Cannavò invece sulla Gazzetta dello Sport: “Non lascia eredi, ma solo qualche goffo imitatore. Unico sino alla fine”. A Gianni Mura poi si deve il neologismo Senzabrera. I Senzabrera sono tutti coloro che si sentono orfani del giornalista lombardo. Su Repubblica Mura il 20 dicembre 1992 scrisse: “Io non sarò il tuo erede, Giovanni. Siamo onesti, come te non c’è stato nessuno, e non ci sarà più nessuno”.
Gianni Brera ha lasciato una traccia profonda sul giornalismo sportivo e sulla cultura italiana del Novecento. E il suo rapporto con le tv locali com’ è stato? Intanto bisogna dire che c’è stato. Perché oltre ad essere stato ospite fisso della Domenica Sportiva su Rai 1 nel 1978 e del Processo Lunedì su Raitre nel 1990, non sono poi così rare le sue apparizioni, da ospite o da conduttore, nelle trasmissioni sportive di tv private. Ha lavorato per Telelombardia, TeleArena e Antenna 3. Delle tv locali insomma nemmeno Brera è riuscito a fare a meno. Senza però fare nel mondo delle locali cose fondamentali. Ma le faceva. “Secondo me si buttava via”, ci ha risposto Gianni Mura. “Sì, gli piaceva frequentarle, e il suo piacere era direttamente proporzionale alla cifra d’ingaggio. Questo me lo disse di persona”. Per Giancarlo Dotto “Brera era un genio anche nel buttarsi via (i geni si buttano, sono i primi a disprezzare il proprio saperci fare), diceva mostrando il taschino, infilateci un marengo e sono pronto a fare qualunque cosa. Mura è bravo, molto bravo, sarebbe stato ancora più godibile senza la sindrome del pagellante/flagellante. Entrambi Brera e Mura sono, erano molto poco telegenici. Ma questo non è né un difetto, né una virtù”.
Ma “il peggior Brera televisivo – dice Italo Cucci- non era quello che, dicevano i suoi allievi preoccupati della sua… verginità, smarchettava da Biscardi, quello dell’Accademia e dintorni, ma il grande affabulatore costretto a partorire telegrammi alla “nobile” Domenica Sportiva che tremava quando diceva “paisà”, “meridionale” e via così. Brera ha avuto il coraggio di non negarsi niente, gli mancava di scrivere sui muri: lo faceva per necessità famigliari ma anche perché aveva in sommo disprezzo benpensanti e invidiosi, tanti, del suo successo”. Di Brera ha fatto sì la storia del giornalismo sportivo, non quella delle tv locali. Non ci sono tanti giornalisti, tra quelli che abbiamo intervistato, che hanno un ricordo nitido delle sue apparizioni sull’etere. La maggioranza ricorda le sue trasmissioni, ma è evidente che non ne sa un gran che. Prendiamo come esempio L’accademia di Brera, trasmessa negli Ottanta su Antenna 3. Alcuni di loro non l’ hanno mai vista: è normale che un programma trasmesso in ambito locale non abbia una grande utenza. Tuttavia neanche per i giornalisti televisivi sembra che la trasmissione sia passata alla storia. Il perché lo spiega Fabio Ravezzani. “E’ difficile dire quali siano state le trasmissioni tv che hanno fatto la storia nello sport delle locali, semplicemente perché non ve n’è più traccia. L’Accademia di Brera non è ricordata dagli addetti ai lavori come una trasmissione in qualche modo storica, persa nel fiume di parole dello sport in tv. E, a ben vedere, non c’è davvero nulla di così storico nel parlare di calcio con toni più o meno nobili”. Ravezzani, avendo vissuto a Torino in quegli anni, ammette di non aver mai guardato la trasmissione. E anche Gianni Visnadi, lui proprio di Torino, non l’ ha mai vista. E stiamo parlando di due tra i più famosi conduttori di sport delle tv locali del nord. Lo stesso discorso naturalmente lo si può estendere anche ai giornalisti della carta stampata. Per questioni geografiche L’accademia non l’ hanno mai guardata Nicola Cecere, Ivan Zazzaroni, Massimo Norrito, Andrea Sorrentino. Maurizio Crosetti addirittura ne ha scoperto l’esistenza quando gli abbiamo posto la questione. Paolo Ziliani ha ammesso che prima di diventare autore per Mediaset, guardava poca tv e quasi nulla di tv private. “Dell’Accademia di Brera – ammette Emanuele Gamba – conosco solamente il nome ma più che altro perché, se non ricordo male, era il titolo di una rubrica che teneva sul Guerin Sportivo”. Nemmeno Mura la seguiva con assiduità sebbene “poteva capitare”. Stessa cosa per Giampiero Scevola. “Non guardavo – dice – spesso le reti locali, me ne mancava il tempo. Ma L’accademia di Brera, La panchina di Rivera, Azzurro (mi sembra si chiamasse così) e un’altra trasmissione dove c’era Sandro Mazzola, qualche volta le guardavo”.
Qualcosa della trasmissione è rimasta nei ricordi dei giornalisti che in quegli anni abitavano in Lombardia. A Stefano Olivari piacevano “tutti gli one man show, con titoli diversi, di Gianni Brera, anche quando faceva l’uomo immagine di prodotti improbabili, come il leggendario Winco”. Olivari guardava l’ Accademia. “Da ragazzo la apprezzavo anche senza conoscere la sovrastruttura del brerismo, né aver letto i libri che poi ho letto di e su Brera. Anzi, Brera senza il brerismo dei suoi adoratori-amici (la cucina, le citazioni storiche, la Bassa lombarda, la caccia, l’antropologia, la tattica come spiegazione di ogni partita: ottimi ingredienti, ma solo in mano ad un cuoco come Brera) guadagnava in spontaneità ed efficacia televisiva”. Anche Antonio Dipollina e Gianluca Rossi dicono di ricordarla bene. Ma poi nelle loro risposte non si dilungano a parlare di quella trasmissione, ma di un’altra (Qui studio a voi stadio). No, Brera in tv non ha fatto storia. Né con l’Accademia, né con altre trasmissioni. Giorgio Micheletti sembra l’unico a dare qualche importanza alla trasmissione in questione. “Ha tenuto a battesimo le tv locali”. Ma poi non dice altro.
Sandro Piccinini è quello più critico sul Brera televisivo per le qualità che Brera mostrava in video. “Sulle capacità televisive di Brera e Zanetti il discorso sarebbe lungo. Diciamo che con i loro tempi, il pubblico di oggi scanalerebbe dopo un minuto e gli ascolti precipiterebbero. E’ solo il tempo che crea i miti. Carosio, tanto per citare un altro mito, oggi farebbe la riserva all’ultimo telecronista di Sky. Mosca poteva piacere o non piacere, ma rimaneva un animale televisivo formidabile e fino a quando è stato in buona salute tutte le televisioni nazionali e locali se lo sono conteso in tutti i modi. Non voglio dire che Brera e Zanetti fossero scarsi, voglio solo dire che rimangono due bravi giornalisti (nel caso di Brera, un ottimo scrittore) che vanno valutati nell’ambito dell’era che hanno vissuto, ma non possono più rappresentare un modello. Con i meccanismi di oggi, rimarrebbero due ottimi editorialisti, dalla prosa un po’ stucchevole e retorica. Su Brera nelle tv locali, non ci trovo nulla di male. Come per Mosca, fu una libera scelta, un’apertura verso una nuova forma di comunicazione”. Piccinini non deve essere fan di Brera: “Brera e Zanetti vanno paragonati con i bravi giornalisti di carta stampata che esistono oggi. Tanto per fare un esempio, Paolo Condò della Gazzetta è per me dieci volte superiore a Brera e Zanetti. Sia come scrittura sia come capacità giornalistiche”. Ma nem

meno dei Senzabrera, evidentemente: “Mura è sempre un po’ snob. Forse si rende conto di non essere adatto alla tv ed allora ne è spesso infastidito. Ama solo la trasmissione del suo amico Garanzini, quella che andava in onda a mezzanotte della domenica su Sky con vino e salame sul tavolo. Naturalmente, se fosse misurata dall’auditel farebbe l’uno per cento…”
Non era in quelle trasmissioni sportive che Gianni Brera sapeva dare il suo meglio. Il suo talento usciva invece negli articoli e nei romanzi che scriveva. Non nei programmi delle locali in cui appariva. Anche i suoi allievi (Mura e Cucci in un certo senso lo sono) lo guardavano in tv con poco interesse. Brera là ci andava solo per una cosa: i soldi. Lo ha ammesso lui stesso ai colleghi che gli stavano più vicino.
Alberto Facchinetti
alberto.facchinetti1@virgilio.it
(per gentile concessione dell’autore, fonte: ‘Il giornalismo sportivo. Il rapporto tra la carta stampata e le tv locali da Gianni Brera ad oggi’, tesi di laurea in discipline dell’Arte, Musica e Spettacolo all’Università di Padova, anno accademico 2006-2007)

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