La classifica dei non classificabili

9 Aprile 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
I nostri premi agli strange cats della stagione NBA, con i playoff imminenti: Andrew Bogut, Josh Smith, Lamar Odom, Stephen Jackson, J.J. Redick, Shaun Livingston e Anderson Varejao…

“And the winner is…”. L’idiosincrasia che proviamo verso i premi ufficiali ha origini antiche; è forse merito del concorso canoro (ippico) sanremese, il nonno di tutte le gastroenteriti altrui, o la rassegnazione che ci coglie quando indoviniamo (nemmeno fossimo Nostradamus) l’esatta ripartizione, spartizione, di un bill del mondo musicale “serio”. Consegnamo quindi ai poster(i), la lista degli strange cats: i cinque più due, perchè il basket si gioca almeno in sette, di Sternville 2010. Infatti, se con il quintetto si vincono le partite, con la panchina si issa il bandierone del titolo. A un anno esatto dall’apocalisse prossima ventura, dedichiamo il pistolotto al leggendario Bernard King; che nell’anno di Orwell fu scippato dell’Mvp dagli opportunisti del politicamente corretto: la corona finì a Larry Bird, quindi cinse la testa di un g.o.a.t., ma capimmo che la giuria ragiona sempre con i neuroni consentiti dal bancomat. Consegneremo il trofeo a una squaw indiana, bellissima almeno quanto l’attrice che ritirò l’Oscar nel 1973 al posto di Marlon Brando, uno che capì tutto e non si adeguò mai.
Andrew Bogut/Bucks – “Scusate il ritardo” dovrebbe essere il suo mantra: l’incidente di gioco, che lo terrà a riposo fino al prossimo Ottobre, ha cambiato (ahiloro) le prospettive playoffs dei Cerbiatti.
Scott Skiles, il migliore allenatore della giungla, lo ha trasformato: dello slavo adesso non ha solamente le origini, ma l’arroganza tecnica. Ha imparato ad essere aggressivo sotto i tabelloni ed il resto, avendo un bagaglio dei trucchi da pivot anni settanta, è arrivato di conseguenza. Per il futuro, sperando che le ossa guariscano perfettamente, ci auguriamo che sviluppi maggiormente il vladedivac che è in lui. Migliorerà individualmente e soprattutto innalzerà la competitività dei Jennings che lo circondano.
Josh Smith/Hawks
– Una delle sequenze più suggestive della fantascienza cinepanettona è contenuta nel coloratissimo “La fuga di Logan”; nulla a che fare con Kubrick e Fellini ma un esperimento curioso, parecchio pop, di dopamina visiva. Nel film c’è il rituale ossianico del Carosello: un sacrifico propiziatorio che segna il passaggio utopico ai trent’anni in quella società parahuxleiana. I protagonisti lievitano nello spazio di un’arena colma di spettatori ed esplodono come kamikaze del Mondo Nuovo.
Ebbene, se esiste un giocatore che potrebbe sopravvivere a quella mattanza, volando oltre l’immaginazione umana, è proprio J Smooth. Il corpo più incredibile dai tempi del Doctor J dei Nets: il Falco pare un effetto speciale di “Matrix”, tridimensionale ed omniscente. Uno dei tre-quattro veri dominatori della scena contemporanea: negli anni è diventato un all around clamoroso, mostruosamente efficace quando la partita si decide. Nei cinque minuti giusti (..) è il difensore più forte della lega, capace di oscurare la vallata a tutte e cinque le razze presenti sul parquet. Per descriverlo efficacemente ci sovviene la definizione che Giuàn Brera diede di un mattatore del Novecento italiano: un genio ignorante. Collante tattico di una realtà sottovalutata da molti, autentica mina vagante della rumba che comincia il 17 Aprile. Come bonus recente, si diverte sempre di più a passare la palla dal post alto, con un timing e una sicurezza quasi da chriswebber. Difficilmente diventerà, a livello di marketing, il fenomeno che è nei quarantotto minuti di contesa: il bagaglio extra che si porta sulla gobba emerge già nelle interviste concesse; nelle quali il nostro si esprime coniando neologismi (no, non è Gadda…) degni dei Parliament alla terza skunk fumata. In tempi di Tiger Woods trionfanti, è chiaramente il nostro Mvp sentimentale…
Lamar Odom/Lakers
– Altro mancino tuttofare dal talento leonardesco, lo seguiamo dai tempi gloriosi della high school newyorchese, quando si annunciò (puro come un diamante sudafricano) nelle vesti messianiche di Magic Johnson del Queens. Ne adoriamo i momenti di ispirazione assoluta, da califfo, così come le pause di riflessione: malgrado Kobe e il Gesù catalano, meteolamar stabilirà il cielo di Busslandia a Maggio e a Giugno di quest’anno. Infatti Bynum non sposta tatticamente l’asse cartesiano delle sfide, invece Odom (rimbalzista offensivo silasiano e trattatore hors categorie della gonfia) le trasfigura con la poliedricità di un Bruno Munari cestistico. Coinvolto ormai nel vippame hollywoodiano, dopo il matrimonio con la presenzialista rumenta Khloe Kardashian, rimane il tormento jacksoniano più presente nei sogni del Maestro Zen: l’undicesimo anello di Phil dipenderà dalle lune del nativo di Jamaica, fanatico consumatore di caramelle e dolci nel tempo libero.
Stephen Jackson/Bobcats – L’Uomo Nero per antonomasia ha trovato un pò di pace in North Carolina, ospite di una confraternita della Chapel Hill mafia: pure questa stagione, triste ma vero, sono riusciti a non convocarlo per l’All Star Game. La maledizione di quella serata ad Auburn Hills del Novembre 2004, quando affrontò a mani nude una dozzina di spettatori per strangolarli, lo perseguiterà per sempre: essendo l’Nba un’azienda che vende intrattenimento, i cattivi come Steph non potranno mai essere esibiti alla massa. E’ pur sempre lo stesso gangsta che sparò a una posse rivale all’uscita di un locale notturno… Tutto ciò però non dovrebbe nascondere la grandezza minacciosa dell’ex Warriors: durissimo, spietato, capace di coprire tre ruoli con una naturalezza spaventosa e provvisto di un cuore grande come lo stato del Texas. Pochi spostano gli equilibri, su entrambi i lati del campo, come il Jax di questi mesi; se ne è accorto anche un sommo del pino come Larry Brown, un pastore di pallacanestro, un visionario, che ama e riconosce il talento come nessun altro: gli ha consegnato le chiavi del pullmino e il viaggio, per adesso, è stato inebriante.
J.J. Redick/Magic – Candidatura a sorpresa ma non troppo, in un momento dipinto del blu dei Blue Devils di Coach K. Ha sfidato lo steretipo del viso pallido buono solo per l’Ncaa, inserendosi alla grande nei meccanismi virtuosi della macchina da canestri più sofisticata dell’Nba attuale. Cresciuto tantissimo nella comprensione del gioco altrui, mostra una durezza (anche difensiva) insospettabile: in proiezione futura, se continuerà l’evoluzione da combo guard, lo vedremmo bene nelle vesti che furono del Danny Ainge della maturità. J.J. sembra aver compreso perfettamente il motto della foresta più spietata: “If you don’t run fast, you’re food”. Vedova allegra di Turkoglu, è l’elemento chimico che potrebbe aggiungere nitroglicerina al menu avvelenato che Van Gundy offrirà ai Lebroners.
Shaun Livingston/Wizards – Risorto nel deserto sahariano di Washington, siamo felici di rivederlo in salute e con le antiche movenze. Ennesima scelta sfortunatissima dei Clippers, dopo l’anno da matricola promettente (back up di Cassell) al terzo ebbe un infortunio terribile, rivoltante nella dinamica e quasi terminale per la carriera. Non sappiamo quanto dannymanning c’è nelle sue ginocchia, ma continueremo a meravigliarci di fronte ai suoi piedini magici, roba da Penny Hardaway d’antan, e le mani fatate degne di Herbie Hancock. Ritorno lieto per chiunque apprezzi la musicalità gioiosa del basket; lo seguiremo con la devozione che merita un grande artista dell’improvvisazione jazzistica.
Anderson Varejao/Cavaliers – Sesto uomo di importanza vitale, Telespalla Bob è l’arma segreta di Cleveland verso il bottino pieno. Fondamentale nell’indirizzare l’inerzia del giochino verso l’energumeno (dal discreto talento) con la maglia numero ventitre; è l’animale più rodmaniano dello zoo d’oggi. Devastante nell’entrare sottopelle al nemico; fastidioso, urticante e maledettamente figlio di buona donna con tutti: chiedetelo a Zisis, c
he a un mondiale si ritrovò con lo zigomo frantumato da una gomitata del brasilero. E’ un concentrato di energia purissima per i Cavalieri, che porta sul legno rimbalzi, deviazioni, blocchi, difesa, sfondamenti subiti; ovvero tutto ciò che fa poco fumo statistico ma tanto referto finale in positivo. Pezzo del puzzle fondamentale di una squadra che avrà la pressione gigantesca di dover vincere a tutti i costi. Mai come questa volta, titolo o tritolo.
Adesso si fa sul serio, inutile sottolineare l’importanza degli accoppiamenti nel tabellone: non essendoci i Bulls 1996-98, sono decisive le tendenze di ogni ciurma opposta all’altra; nello specifico ci sono squadre di lignaggio inferiore adatte a esporre i punti deboli tattici e tecnici di alcune pretendenti al titolo. Non è necessario eliminare una delle favorite per depotenziarle; essendo la competizione una corsa a tappe diseguale, basta togliere forze e carburante alla portaerei per il turno successivo: un esempio, leggendo il cartellone occidentale, è rappresentato da un possibile LA-Portland al primo round; la classica rumba che potrebbe complicare i piani dei campioni in carica, a disagio in stagione contro l’atletismo e il gioco controllato degli oregoniani. Seguiremo il Grande Ballo con invariato entusiasmo, a discapito della nostra (ribadita) vena snob: per tutti gli altri, vi lasciamo divertiti a un Mimmo Modugno profetico. “Piangeeee il telefonoooo…”.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

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