Kick it out

17 Aprile 2008 di Stefano Olivari

1. Fra meno di due mesi, le città svizzere ed austriache ospiteranno le partite degli Europei e questa non è una notizia. Lo è invece la decisione di un gruppo austriaco che sostiene i diritti dei gay, QWIEN, di lanciare una campagna attraverso dei poster che verranno affissi nelle varie città sedi delle gare e che accusa il calcio di essere un gioco omofobico. Il gruppo denuncia anche il fatto che, se molto si è fatto da parte delle istituzioni del calcio nella lotta contro il razzismo, quasi nulla si è cercato di fare per quella forma di razzismo che è il non riconoscimento dei diritti degli omosessuali anche nello sport. Una prima risposta a questa denuncia da parte del gruppo austriaco è stata data sulle pagine della rivista “Champions” da Piara Powar, direttore del gruppo britannico che combatte il razzismo, Kick it out: ”Per combattere il razzismo “classico” abbiamo utilizzato dei modelli con background differenti fra di loro. Oggigiorno quasi nessuna squadra europea di livello è priva di un grande giocatore di colore nelle sue fila. Per i giocatori gay invece ciò è più difficile, perché questi atleti non escono mai allo scoperto, dichiarando apertamente la loro omosessualità. In Inghilterra siamo ancora fermi all’inizio degli anni ’90, quando Justin Fashanu dichiarò alla stampa di essere omosessuale”.

2. Già, Fashanu. In Italia è diventato più famoso John, lo spilungone del Wimbledon, anche grazie all’involontaria pubblicità fattagli da Teo Teocoli alias Peo Pericoli, che andò addirittura a trovarlo a Londra. Justin però fu un eroe a suo modo. In un mondo come quello del calcio inglese, forse più sessista ed omofobico di altri, disse a tutti di essere gay, pagando poi per il resto della sua carriera e della sua vita. Le reazioni del calcio inglese a questo coming out furono terribili e Justin dichiarò di sentirsi solo e disperato. Addirittura anche il “simpatico” fratello John lo rinnegò pubblicamente e Justin non potè far altro che emigrare a Toronto, per poi tornare in Gran Bretagna e chiudere la carriera nel 1997 ancora aldilà dell’Atlantico, ad Atlanta precisamente. Nel 1998 un diciassettenne di Ashton Woods, Maryland, accusò Justin Fashanu di violenza sessuale. Ammise di essere andato a casa del calciatore di sua spontanea volontà, ma poi, una volta lì, di avere subito violenza. Il 26 marzo dello stesso anno Fashanu venne interrogato dalla polizia statunitense ma, poiché offrì massima collaborazione, non fu necessario incarcerarlo. Justin tornò in Inghilterra e la mattina del 17 aprile 1998 fu trovato impiccato in un garage in un sobborgo di Londra. In un memoriale rilasciato dallo stesso giocatore egli ammetteva che con quel ragazzo americano aveva avuto un rapporto sessuale, ma anche che entrambi erano consenzienti. Nel suo biglietto d’addio trovarono questa frase: ”Spero che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace, infine”. Justin Fashanu quel giorno aveva 37 anni. Una storia triste, con un finale tragico. Dopo dieci anni non molto sembra essere cambiato: i calciatori gay hanno paura a dichiarare la loro omosessualità. Paura di essere derisi, esclusi da quel sistema calcio che sembra fatto solo per gli eterosessuali. Per i gay esistono campionati a parte con Mondiali annessi, è vero, ma nella vita di tutti i giorni, all’interno delle aziende non abbiamo uffici per ragionieri gay e altri per eterosessuali, call center per ragazze a cui piacciono gli uomini e altri per lesbiche. Ad ognuno di noi è capitato o capiterà di lavorare a fianco di un collega che ha gusti sessuali differenti dai nostri, senza per questo essere aggredito o molestato ogni cinque minuti. Il calcio ci arriverà, probabilmente per ultimo, come spesso accade.

3. Visto che il titolo di Premier sembra aver preso ancora la strada dell’Old Trafford (vediamo quello che succederà il 26 aprile a Stamford Bridge, quando il Chelsea ospiterà il Man U, ma il pareggio casalingo di lunedì sera dei Blues col Wigan potrebbe risultare decisivo), concentriamoci su quanto sta avvenendo al secondo livello, nel Championship. La lotta al vertice è incertissima con cinque squadre (West Brom, Hull City, Stoke, Bristol City e Watford) in cinque punti, il tutto a sole tre giornate dalla fine. Nella lotta per non retrocedere in League One invece, Colchester e Scunthorpe sono spacciate, ma almeno altre sei squadre – fra cui il derelitto Southampton- stanno lottando per evitare di essere l’ultima squadra a scendere di categoria. Si è stabilizzato a metà classifica invece il QPR. Vedremo se l’anno prossimo il duo Briatore/Ecclestone riuscirà a farlo diventare una squadra da Premier League.

Luca Ferrato
ferratoluca@hotmail.com

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