In gloria di Dirk Nowitzki

23 Maggio 2011 di Simone Basso

di Simone Basso
Il più forte europeo di sempre, le prospettive Nba della grande Jugoslavia, il classico materiale da trasferta, i trainati del Giro, le velocità variabili di Djokovic e Nadal, gli indesiderati della Federtennis, la scoperta di Contador e la fine di Wanjiru.

1. Quando eravamo bambini, ovvero nel secolo scorso, ci spiegavano che l’Nba, non ancora Sternville, viveva di due stili contrapposti. L’up tempo dell’ovest contro il gioco a metà campo dell’est; modificate le prospettive, la sostanza non cambia. Difficile assistere a due finali di conference più diverse nell’interpretazione dello stesso sport. La contesa orientale vive sull’aggressività difensiva tanto quanto quella occidentale dipende dall’approccio offensivo. Thunder-Mavs è un’occasione ghiotta per gustarsi il talento immane del duo Durant-Nowitzki, se la versione cyberpunk di George Gervin è ancora nel bel mezzo di un’evoluzione che pare infinita, il tedesco ci sbatte in faccia un concetto che tendiamo a dimenticare. Wunderdirk è il più forte europeo della storia, tanto quanto il più grande è stato Sabonis, altro scherzo cestistico della natura. Al netto della difesa mediocre, una combinazione come il 41 di Dallas non era nemmeno pensabile fino a vent’anni fa. Il tiro dalla mezza, scalciando, è un’arma totale che lo avvicina, per efficacia, al gancio cielo del nostro personalissimo Goat, ovvero Kareem Abdul-Jabbar. La versione 2011 è una spanna superiore all’eccellente giocatore che vinse l’Mvp nel 2007: un due e dodici che ha imparato a leggere perfettamente il raddoppio avversario, che ha sublimato il lavoro in post spalle a canestro, immarcabile in avvicinamento (anche se Nick Collison…) e altresì allontanandosi col tiro frontale, cadendo all’indietro. Una combo-forward parecchio Larry Bird, ma con il tonnellaggio di un centro e la capacità di subire falli (e produrre tiri liberi a piacimento) di Adrian Dantley. McAdoo biondo, nato per sbaglio fuori dai confini Ju-Es-Ei. Un mostro che, al pari di altri grandissimi, non dipende più dalle percentuali del tiro da tre (il rimedio terapeutico di certo basket codardo).
2. Il revisionismo non ha colpito solamente la storia vera, bensì anche la palla con estro; ecco allora la riproposizione di un passato comodo, poco verificabile perchè ormai lontano.
Nel vecchio continente si abusa dell’espressione “Avrebbe fatto onde anche nei pro”. Succede soprattutto per i plavi: trattasi di autentica distorsione della realtà. Vi pubblichiamo i risultati della tournee dell’autunno 1981 della Jugoslavia campione olimpica in carica. Mancavano nella truppa Tanjevic i tre dioscuri (in ordine di preferenza tecnica: Delibasic, Cosic, Kicianovic) ma la squadra contava comunque su Dalipagic, Vilfan, Popovic, Djuric e compagnia cantante. Contro i combo Ncaa, non i Sixers e i Lakers. Rutgers, vittoria 109-98; Purdue, sconfitta 57-71; Indiana, 65-73; Illinois, 71-66; Kentucky, 73-124 (cinquantuno punti di scarto!?); Iowa, 85-92; Wichita State, 82-103; Minnesota, 77-107 (meno trenta..); Athletes in Action (sic) a Linden, 80-89; Athlets in Action (…) a Vancouver, 81-98; North Carolina, 70-77 (Jordan diciottenne 23..). Avete capito l’antifona dell’epoca? Sì, lo sappiamo, non ci sono più le mezze stagioni, Nowitzki non ha vinto niente e Gasol è soft. Però, come dichiarava anche un fenomenale playmaker ellenico, il silenzio è d’oro.
3. Qualche settimana fa, leggendo la notizia “nascosta” in un trafiletto, abbiamo pensato ai cieli del Colorado. La dimensione terrena dove furono disperse le ceneri del leggendario Hunter S. Thompson,
il reporter più estremo nella storia del giornalismo sportivo. Lo spararono con un cannone lungo quarantacinque metri. Torniamo al misfatto, controllo alla frontiera di Dover di un van della Kawasaki, categoria Superbike, diretto a Morecambe (la sede del team). All’interno del mezzo la polizia rinviene: otto chili di cocaina, settantuno di anfetamine, un quintale di cannabis, una pistola e trentacinque cartucce. Paura e delirio sulla Manica.
4. Giro d’Italia, polemiche a non finire per le trainate automobilistiche ai velocisti, in difficoltà sul Mungibeddu. Una mattina, al raduno di partenza, un suiveur mostra a Franco Gini la foto di Chicchi attaccato al tergicristallo della vettura Quick Step. “Guarda che questa immagine dice inequivocabilmente una cosa: che Francesco sta spingendo l’ammiraglia”. Grandioso.
5. Non siamo così perfidi da suggerire quale possa essere la funzione, reale, del codazzo dei parenti consanguinei dietro certi divi del tennis. Però ci sono dati tecnici bizzarri, poco spiegabili dalle dinamiche naturali del gioco. L’idea del ribaltamento di forze tra Nole e Rafa l’abbiamo già spiegata dal punto di vista tattico, meno da quello delle cifre nude. Nella finale di Roma il diritto di Djokovic, calcolato dal computer Atp, viaggiava alla stessa velocità della semifinale con Murray: 116 chilometri orari di media. Impressionante confrontare i dati numerici tra il Djoker 2010 e The Djuicer 2011; il groundstroke va più forte di tredici km/h! La mancia è rappresentata dalla scoperta di un guru dei miracoli, il dottor Igor Cetojevic, come lasciapassare per l’eternità. www.docigor.org/ . Siamo curiosi di vedere al Roland Garros le contromosse manacorine, considerando che il Nadal del triplete è dovuto anche ai metodi del luminare iberico Michel Sànchez: lo scienziato che ha inventato un rimedio per i tendini e le ginocchia lesionati dall’eccesso di carico di lavoro. Le infiltrazioni di plasma sanguigno, prelevato dal corpo del soggetto e immesso nelle zone critiche patellari. Una panacea che ha consentito le performance dello scorso Us Open quando, cambiando semplicemente l’impugnatura (…), il minotauro si è messo a servire con una prima che era dai 16 ai 25 orari più veloce rispetto a quella esibita anche DOPO il torneo di Flushing Meadows. Misteri della fede che si potrebbero chiarire durante lo Slam parigino.
6. “E ora venga sul palco la bellissima Maria Sharapova!” (Lea Pericoli). A metà del cammino della nostra vita, amiamo addentrarci in una selva oscura. Il torneo del Foro Italico ci ha regalato scenari degni di un capolavoro di Dino Risi.
La modifica dello statuto della Federazione Italiana ha introdotto l’obbligo, quasi impossibile da rispettare, che i candidati rivali del Presidentissimo Binaghi presentino l’avallo di almeno trecento circoli divisi in cinque regioni (con un minimo di dieci per zona), venti tecnici (in rappresentanza di almeno cinque regioni e almeno tre per ognuna) e duecento atleti (quindici per ogni “contea”). Al di là dei bizantinismi all’Angelo piace vincere facile: ci ricorda un satrapo brianzolo. Deve essere un destino dei federali, se si insediano per ere geologiche e con i metodi illuminati dei papati alla Gregorio VIII. Diciamo che non amano essere contraddetti e stilano la lista degli indesiderati. Il direttore della comunicazione Fit, Baccini, ha una preferenza spiccata per il Nume Rino: “Tommasi ha fatto della menzogna il suo strumento di lavoro”.
Ecco allora che al giornalista decano del tennis mondiale non viene concesso il pass per la sala stampa. Altri infedeli da consegnare al rogo? Clerici, Panatta, Bertolucci, Pistolesi, Scanagatta, Farina, Reggi…
Quest’ultima è stata protagonista, suo malgrado, di un episodio che illustra il livello di vessazione dell’ambiente. Cerimonia della Racchetta d’Oro, premiati Ken Rosewall e Monica Seles, marchetta telefonica di Lea Pericoli: sapendo dell’amicizia della Seles con la Reggi, la celebre Mutanda di Pizzo avvisa Raffaella che la sua presenza alla cena non è gradita. La faentina, allibita, avvisa l’ex pupilla di Bollettieri che decide di non andarci per protesta. Panico dei federali che decidono una retromarcia politica per salvare la faccia e le apparenze… Accade spesso durante il califfato di Alì Baba, il sistema costruito pare autoreferenziale e vive di una complicità che richiede soprattutto o
mertà e fedeltà.
7. Domenica bestiale sui Monti Pallidi. Nell’evo moderno una tappa come la Conegliano-Gardeccia è incollocabile: dopo due frazioni cattive, 229 chilometri, sei salite, quasi seimila metri di dislivello con il bonus della tripla Giau-Marmolada-Vajolet. Per la maggior parte degli atleti ci vogliono otto ore di calvario, con il finale sotto un acquazzone. Nel cosiddetto ciclismo eroico, che è tale soprattutto per chi non lo conosce, le mulattiere asfaltate non esistevano; la tecnologia e  l’evoluzione del mezzo hanno condannato i ciclisti a pendenze estreme, da trial in moto. Alla faccia dei censori, magari strafatti di coca e rum il sabato sera, sembra l’unico modo per riscattare un’immagine infangata. Hanno scoperto, beati loro, che Alberto Contador è un fuoriclasse. Con il supporto di Bjarne Rommel viene aiutato da uno squadrone in divenire: la Saxo Bank-Movistar-Euskaltel. Niente di nuovo sotto il sole, quasi sempre (nel plotone e nella vita) si corre incontro alle esigenze del più forte; è anche poi una tradizione iberica di lungo corso, la competizione simbiotica, che fu sfatata nei Novanta solamente dalla rivalità Banesto-Once. Quando la strada punta all’insù il torero (seduto) vortica agilissimo sulle novanta pedalate al minuto; il soprassella è invece con un rapporto duro, esigente. Il meglio lo regala sulle vette da Tour, l’Etna, il Grossglockner, ascese lunghe e costanti; è meno a suo agio, vivaddio, sui sentieri da capre stile Zoncolan. Non a caso, sulle pendici del mostro friulano, rispetto ai tempi dell’Ivan Basso 2010 avrebbe preso la paga (trentotto secondi). E’ un puledro di razza, nevrile, un Ocana senza Merckx tra le scatole, che solo il Tas può fermare. Anche se lo Squalo Nibali osservato in queste due settimane ci ha ammaliato e non poco.
8. Non saremo di certo noi a fare dietrologia sulla scomparsa di Samuel Wanjiru e ad elencare un po’ di luoghi comuni, ignoranti, sull’Africa. Il keniano è stato un fenomeno con pochi rivali nella storia infinita dei 42,195. Partì imberbe e fortissimo nella Mezza, poi passò (a Fukuoka nel 2007) alla Maratona: vinse subito, sbalordendo tutti e con un tempo pazzesco (2h06’39”) che rimarrà, incredibile ma vero, il più lento della sua carriera. Se il titolo olimpico (a ventuno anni..) gli diede la fama, la sfida di Chicago con Kebede (nel Novembre dello scorso anno) è stata il suo capolavoro. Incredibile pensare che rimarrà l’ultima corsa della sua vita.

Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

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