Impresa per duecento dementi

10 Aprile 2008 di Stefano Olivari

Facciamo ridere i polli. Ci prendiamo in giro sapendo di farlo. Mentiamo senza alcun pudore, superando qualsiasi limite immaginabile. Per una settimana c’é stato un patetico, disgustoso, falso inno alla demenza, offensivo per l’intelligenza di lettori e telespettatori. La Roma può farcela, mentivano i giornalisti in coro. Ovviamente poi in privato quegli stessi, soprattutto alcuni nostri colleghi romani, ti dicevano “Ma va, che rimonta, ma sai com’é, il popolo bue…”. No, non sappiamo com’é. In matematica siamo scarsi, per cui non possiamo mai capire come si faccia a soddisfare i talebani di una tifoseria, non parliamo ovviamente solo della Roma, scontentando i lettori che hanno altre simpatie. Non ci hanno risparmiato nulla. Una marea di stupidaggini sentite (non lette, perché fortunamente sono mesi che non apriamo un quotidiano sportivo, a differenza del direttore, nato con la Gazzetta in mano e che ogni giorno alle 9 ha già letto anche Tuttosport e Corsport: che vita triste…).
Fabio Caressa, miglior commentatore italiano tranne quando deve fare la telecronaca di una gara con una squadra italiana in campo, diceva “C’è nell’aria un qualcosa che mi fa pensare che a Manchester andrà bene”. Altri sbrodolavano teorie più fuori dal mondo di una storia sullo sbarco dei marziani. “La Roma deve segnare un gol nei primi dieci minuti”, oppure “Se la Roma gioca cosi e cosa si qualifica”. Si sa com’é andata. Ferguson, avendo subito capito la moscezza (si può dire?) della Roma ha dato le ciabatte a Ronaldo e Rooney, ha fatto esordire il convalescente Neville, ha dato fiducia al pupo Piqué, tenuto fuori Scholes, mandato a casa Evra; bastavano gli altri per chiudere la pratica. Schiaffo più doloroso per i talebani del tifo non ci poteva essere. Ma come, noi sbrodolavamo e sdottoravamo sulla vittoria giallorossa e questi ci sfottono a tal punto da giocare con le seconde linee? No, dai, deve mentire pure Ferguson, fingere paura, rispetto, dire frasi nelle quali non crede, ci deve far sentire importanti.
Dicevamo, l’esempio più lampante della montagna delle menzogne é, appunto, Fabio Caressa. Davvero lo consideriamo il migliore in Italia, ma non riusciamo a capire come mai si senta obbligato a lisciare il pelo a qualsiasi calciatore italiano. Se l’interista ottuso vuole ascoltare l’esaltazione di Materazzi, gli interisti normali ed il resto d’Italia no: stesso discorso per Ambrosini, De Rossi, eccetera. Per poi diventare un leone quando parla degli stranieri: una schiappa quello, inguardabile quell’altro, bolso e finito quell’altro ancora. Come mai sugli italiani nessun commento del genere? Forse sono tutti al massimo della condizione, sempre…Durante la telecronaca abbiamo avuto la tentazione di usufruire dell’opzione senza commento, per la gara. Si può fare, basta cliccare info sulla tastiera e cambi. Poi però siamo rimasti con in sottofondo la telecronaca per così dire ufficiale. Da una parte lo capiamo, aveva detto quello che pensava dopo Inter-Roma e lo hanno riempito di minacce. Nessuna critica violenta, aveva solo osato di esprimere un’opinione non lusinghera verso la squadra giallorossa, colpevole di aver buttato via la gara scudetto contro i nerazzurri. Forse da quel giorno si sente in qualche modo obbligato di stare sull’attenti, compiacendo duecento (o duecentomila, dal punto di vista etico è la stessa cosa) dementi e infastidendo milioni di abbonati sani. Uno schema tristemente noto in realtà locali molto piccole, dove il controllo ‘sociale’ sul giornalista è di tipo quasi militare, ma che purtroppo a volte si manifesta anche nei media nazionali.

Dominique Antognoni
dominiqueantognoni@yahoo.it

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