Immaginazione

1 Febbraio 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
L’ineluttabilità del trionfo di Federer agli Australian Open, con una facilità che solo Davydenko per qualche minuto ha reso umana…
Ci sono materie dello scibile umano che ci confortano; non tanto per l’avvicendarsi dei fatti, ma per l’ineluttabilità degli stessi. Da quasi sette anni, un attimo infinito, un’assurdità temporale degna dell’Ulisse di Joyce, assistiamo increduli al verificarsi alchemico di un fenomeno agonistico. Che è anche estetico, nel senso della cognizione massima di una bellezza gestuale, stordente e rivelatoria.
L’esegesi dell’unicità di Roger Federer sta tutta in quell’attimo, inconcepibile per gli altri. Nella creazione, istantanea perchè straordinariamente istintiva, di un tennis totale che affianca la classicità alla modernità. Appare inevitabile ricadere sulla fantascienza antropologica (?) e chiedersi ancora se gli androidi sognano di pecore elettriche: gli umani, gli avversari, tendono disperatamente ad assomigliargli ma non riescono ad eguagliarlo. Nemmeno dominando ampie porzioni di contesa.
Il momento decisivo degli Aussie Open si è verificato nel quarto di finale bizzarro che lo opponeva a Davydenko. Per un set e mezzo, Kolya ha preso a pallate l’alieno, mai così in difficoltà dai tempi (horribilis) della resa di Parigi 2008. I top esasperati di diritto per far passare il burian gelido e addirittura una pausa tattica per oscurare il sole dalla Rod Laver Arena, affinchè l’ombra calasse anche sul russo. Un errore banale del replicante difettoso su una palla break quasi terminale (2-6, 1-3, 15/40) e l’incontro cambia forma e sostanza; nonchè padrone. Sliding doors radioattive per Nikolay e Federer, genio leonardesco, ribalta le prospettive: gioca centrale, abolendo gli angoli più propizi ai colpi esasperati dell’avversario. Il quarto set, rocambolesco e palpitante, è un’ode alla guerra psichica: Rogi chiude, mostrando cose che noi umani non potremmo immaginare… Nell’ultimo gioco tira una seconda folle che rimbalza altissima, ingestibile; poi serve un kick con una diagonale cartesiana, millimetrica.
Il torneo delle illusioni altrui finisce lì, sempre che ci si possa abituare alla valigia dei trucchi di Mago Merlino; il cui compito, oltre che affastellare record impossibili, è quello di spostare sempre più in là l’immaginazione su un campo da tennis.
In finale, contro un Murray di eccellente fattura, uno spettacolo estatico; soprattutto per la capacità di inventare tennis sotto pressione, esibendo una naturalezza scoraggiante per lo scozzese: incredibili certe risposte, alcuni approcci in slice, i diritti incrociati, il rovescio profondissimo e i tocchi a rete, con una serie di volée deliranti. Sembra quasi che, in quei momenti, la sua funzione sia di farci dimenticare lo sport contemporaneo: una realtà, con poche eccezioni, brutale e volgare; un ammasso di supercorpi robotizzati che osano la propria autodistruzione per denaro. Con Roger persiste l’allucinazione felice che sia ancora solo un gioco; che prolunghi l’infanzia emotiva, la purezza, di chi si imbatte in quelle invenzioni. Ha una grandezza imbarazzante ed imbarazzata, pudica, scevra di quel campionismo fanatico che impera in questi tempi feroci; anche quando avrà terminato la sua missione sportiva e fingerà benissimo di essere come noi, continueremo a cercarlo con il nostro sguardo bambino. Chissà se da qualche parte nel cosmo, come una lacrima sospesa nella gravità zero, David Foster Wallace continuerà ad ammirarlo: lui che per primo definì il gioco di Re Roger un’esperienza religiosa, mistica, sarebbe stato contento di abbandonarsi alle visioni di questa estate australiana.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

 
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