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Il sogno di Walacek, la realtà di Rappan

Stefano Olivari 10/02/2016

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Ci sono romanzi così strani che è impossibile staccarsene anche senza la curiosità del ‘come va a finire’. È il caso de Il sogno di Walacek di Giovanni Orelli, da qualche anno rieditato in Italia da 66th and 2nd. Genìa Walacek (la grafia ufficiale, quella degli almanacchi, è però Eugéne Walaschek) altri non è che uno degli attaccanti della storica Svizzera che al Mondiale del 1938 batté nel replay degli ottavi di finale 4-2 la Germania rinforzata dagli austriaci (tranne Sindelar) post-Anschluss, ma la trama è basata sul calcio soltanto in minima parte. Anzi, parlare di trama è privo di senso in questo libro che ha come manifesto programmatico la divagazione. A poche settimane da quel Mondiale, il 19 aprile, Paul Klee usa per una sua opera la pagina 13 del quotidiano ‘National Zeitung’ di Basilea, con la cronaca di Grasshoppers-Servette, finale di Coppa di Svizzera giocata il giorno prima. Nell’opera (Alphabet I) una grande ‘O’ copre proprio il nome di Walacek, giocatore del Servette. E da questa osservazione, forse sfuggita a Klee ma non all’autore del libro, parte una serie di digressioni che coinvolge mezzo mondo, da Schopenauer ai personaggi ai più sconosciuti, con discussioni e cazzeggio colto intorno ad arte, calcio, politica, vita, psicoanalisi. È evidente che il fascino di Klee, ritenuto dal nazismo emblema dell’arte degenerata, copra un po’ tutto, senza nemmeno il sostegno di una vera trama, ma il romanzo (che non sappiamo nemmeno se definire romanzo) restituisce magnificamente le tante pulsioni contrastanti di quell’epoca di passaggio, con la tragedia imminente e immanente. Non c’è soltanto fantasia, ma anche tanta realtà: Klee dovette davvero abbandonare la Germania per tornare nella sua Svizzera, di cui però aveva perso la cittadinanza, mentre anche i riferimenti calcistici sono più che corretti. Del resto la nazionale allenata da Karl Rappan (austriaco di nascita) è entrata nei manuali di tattica e non c’è appassionato di calcio svizzero che non conosca la storia del verrou (più o meno l’antenato del catenaccio, di sicuro il primo schema di gioco a prevedere il libero) e del Mondiale 1938. Con quella ‘O’ Klee, morto vicino a Locarno due anni dopo il Mondiale del 1938, ha consegnato Walacek alla gloria eterna, almeno quanto la sua prestazione (con gol) contro i tedeschi, non fosse altro che per la mancanza di immagini decenti. Il sogno fatto dallo stesso calciatore, cinquanta anni dopo la partita del Parco dei Principi mentre sta andando a un raduno di vecchie glorie, è quello di chi ha vinto, anche se non sa esattamente che cosa. Il grande tema del libro, mai esplicitato, è infatti il rapporto irrisolto della Svizzera con la Seconda Guerra Mondiale, pieno di pagine coraggiose e vergognose ma soprattutto di uomini normali come Walacek. Dentro la storia e al tempo stesso suoi spettatori.

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