Il più grande senza la televisione

23 Agosto 2010 di Stefano Olivari

di Marco Pedrazzini
“Peppìn Meazza e’ il football, anzi “el folber” per tutti gli italiani. Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario…” Come non citare Gianni Brera per scrivere di Giuseppe Meazza? Cent’anni fa nasceva a Milano uno dei più grandi se non il più grande giocatore italiano e interista di tutti i tempi. Da bambino gioca a piedi scalzi per strada e nei prati di Porta Vittoria per non rovinare l’unico paio di scarpe comprate dalla mamma Ersilia, fonda la  Costanza (una squadra calcistica di ragazzini che partecipa ai vari tornei milanesi), gioca nell’Iris, simpatizza per il Milan per amore di Luigi Cevenini detto Zizì che passa, a cavallo della Grande Guerra, ai rossoneri ed entra, quattordicenne, nei Boys dell’Internazionale. L’esordio nel campionato italiano è come un temporale che spazza via un calcio fatto di lanci lunghi, di tecnica approssimativa e di stop con la palla che ricade a due metri.
Di colpo il gioco diventa veloce, imprevedibile e fantasioso. Alla “prima”, il 6-1 del 25 settembre 1927 contro la Dominante, segna e diventa subito l’idolo dei tifosi. Per tutti è già ‘Il Balilla’, soprannome datogli dal compagno Leopoldo Conti quando l’allenatore nerazzurro Arpad Weisz , su suggerimento di Fulvio Bernardini, decide di lanciarlo in prima squadra. Magro e di non alta statura, è seguito da vicino da Weisz che lo allena nei fondamentali carenti come il colpo di testa: per ore lo fa palleggiare contro il muro gibboso del carcere di San Vittore, che crea traettorie irregolari. I dirigenti dell’Inter lo nutrono con bistecche per favorirne lo sviluppo, ma ad impressionare è la crescita sportiva.
Dai 12 gol del primo campionato passa ai 38 della stagione successiva, ai 31 del primo campionato a girone unico del 1929/30. E’ l’anno dello scudetto. Una vittoria che l’Inter, divenuta Ambrosiana per volere fascista, aspetta da dieci anni. Nel drammatico match del crollo delle tribune del vecchio stadio Fossati di via Goldoni, 15 giugno del 1930, contro il forte Genoa del cannoniere Levratto, si carica la squadra sulle esili spalle e segna i tre gol che valgono il pari e consegnano virtualmente lo scudetto ai nerazzurri. Solo poche settimane prima è riuscito a segnare tre reti alla Roma in soli quattro minuti, un record rimasto imbattuto. Molte sono le triplette, le quaterne e le cinquine che semina nei campi di tutta Italia. Amante della vita notturna con annessi e connessi, si racconta che una domenica si sia presentato all’Arena solo dieci minuti prima del fischio d’inizio. Direttamente di ritorno da una festa. Affannato, entra negli spogliatoi di corsa rimproverato da tutti i compagni, si cambia e scende in campo. Neanche mezz’ora dopo ha segnato una doppietta…
Il ciclo d’oro all’Inter è chiuso nel 1939 quando una cattiva circolazione del sangue gli blocca il piede sinistro. Passerà un anno tra massaggiatori e guaritori finchè il vecchio medico sportivo Arrigone lo visita e capisce che c’è una vena compressa da un osso. Viene operato, ridiventa un calciatore ma è tardi…indossa senza entusiasmo le maglie di Milan, Juventus, Varese ed Atalanta per poi chiudere nel dopoguerra nella squadra del cuore. Le sue cifre sono impressionanti: nelle 408 presenze nell’Inter realizza 288 gol con la media di oltre 0,70 gol a partita. Vince due scudetti da protagonista e uno da infortunato, una Coppa Italia e per tre volte il titolo di cannoniere.
Come un binario parallelo si sviluppa la sua carriera in Nazionale. Chiamato dal Ct Vittorio Pozzo fa il suo esordio il 9 febbraio 1930, neanche ventenne, contro la Svizzera. Dopo un primo tempo in cui sbaglia quasi ogni passaggio ed è sommerso dai fischi dei tifosi napoletani, arrabbiati perché ha rubato il posto ad Attila Sallustro, cambia marcia e segna una doppietta. Non si fermerà più…In maglia azzurra vince due Coppe del Mondo (1934 e 1938) e due Coppe Internazionali (1930 e 1935). In 53 presenze realizza 33 gol, record battuto solo in epoca moderna da Gigi Riva con 35. Quattro sono le partite che lo consegnano alla storia della Nazionale. Ungheria–Italia 0-5 del maggio 1930 (Coppa Internazionale, tre gol segnati nella prima vittoria azzurra contro i maestri danubiani), Italia–Spagna 1-0 (quarti di finale Coppa del Mondo 1934, segna di testa nello spareggio), Inghilterra-Italia 3-2 (amichevole del novembre 1934, con gli azzurri in dieci e sotto 3-0 segna due reti in quattro minuti e coglie un palo con gli italiani che diventano ‘I leoni di Highbury’) e Italia – Brasile 2-1 (semifinale Coppa del Mondo 1938, realizza un rigore tenendosi con una mano i pantaloncini dall’elastico rotto). Più ombre che luci, invece, nella carriera da allenatore. Sei mesi in Turchia al Besiktas, primo allenatore italiano all’estero, due anni alla Pro Patria salvata da una retrocessione, la breve e poco felice esperienza olimpica a Stoccolma nel 1952 con l’Italia e il nuovo ritorno alla casa nerazzurra chiamato alla guida del vivaio, con qualche incursione in prima squadra nei momenti di crisi, da Angelo Moratti. Se ne va un giorno di agosto del 1979, lo stesso mese in cui è nato. Signore in campo dove si racconta che si sia arrabbiato davvero solo due volte. Dopo un intervento molto duro di Pietro Serantoni, suo grande amico ed ex compagno di squadra in Inter-Juventus (“Sera, proprio tu!) e dopo un rimprovero plateale di Annibale Frossi per un lancio sbagliato (“Non ti permettere mai più di criticarmi in questo modo”). Signore fuori dal campo, ama la famiglia, ascoltare e suonare musica, il cinema, le feste, i bei vestiti e le macchine. Manna per le pubbilicità del tempo che lo rendono, primo uomo sportivo in Italia, testimonial di prodotti Di lui rimangono un mare di ricordi, articoli e fotografie in bianconero e qualche filmato dell’Istituto Luce. Dove si intuisce che avrebbe detto la sua anche nel calcio di oggi.
Marco Pedrazzini
(in esclusiva per Indiscreto)

Marco Pedrazzini è autore insieme a Federico Jaselli Meazza di ‘IL MIO NOME E’ GIUSEPPE MEAZZA – L’album privato del calciatore italiano più grande’ (uscirà a novembre per l’editore Indiscreto, che poi saremmo noi). Grazie alla volontà e all’archivio delle figlie del campione, Gabriella e Silvana, il libro raccoglie testimonianze e centinaia di fotografie assolutamente inedite riguardanti vent’anni di calcio italiano e internazionale. Un’epoca raccontata in prima persona da Meazza stesso, del quale sono stati ‘solo’ messi in ordine cronologico i racconti e le lettere ad amici e familiari.  

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