Il disfattismo che piace

10 Giugno 2009 di Stefano Olivari

Il marketing giornalistico impone di passare dal trionfalismo al disfattismo, forse è giusto così: tutti cerchiamo sensazioni forti, intrattenimento, sopresa. Però il mantra ‘I nostri club non comprano più i fuoriclasse di una volta’ ha raggiunto livelli fastidiosi anche per noi del bar: editorialisti che fino a ieri esaltavano i bilanci in pareggio adesso rimpiangono i bei pagamenti in nero del passato, cantori della politica dei giovani si esibiscono nell’elogio dei dream team, cultori dell’allenatore guru sdottorano sulla necessità dei colpi del campione. Peccato che ci sia una sola società al mondo che, sul modello dei club italiani del recente passato, compra i fuoriclasse al massimo del loro valore di mercato incurante del fatto che potrebbero aver già dato il meglio: questa società si chiama Real Madrid, ovviamente. Tutte le altre pagano tanto, perchè il Liverpool non ha certo scoperto Fernando Torres mentre giocava con gli amici, ma non più di quanto potrebbe pagare una Fiorentina. Nel 2003 il diciottenne e già famoso Cristiano Ronaldo passò dallo Sporting Lisbona al Manchester United per 12 milioni di sterline (al cambio di allora quasi 19 milioni di euro). Nel 2000 il tredicenne Messi fu strappato al Newell’s Old Boys in crisi finanziaria di fatto per niente: il Barcellona pagò le costose cure anti-nanismo (somministrazione di farmaci contenenti GH, cioé l’ormone della crescita) e diedero il solito finto lavoro al padre. C’è chi finora ha mascherato la propria incompetenza dietro alle ricapitalizzazioni del padrone: il problema è che in certi casi gli articoli, anche quelli disfattisti, sono scritti sotto la sua dettatura.

Share this article