I fantasmi dell’Idroscalo

15 Dicembre 2006 di Stefano Olivari

1. Finirà così. Finirà che al via delle massime competizioni internazionali – quelle promosse dalle società organizzatrici più potenti, fuori dal circuito Pro Tour – non si schiererà altra formazione che la Discovery Channel: schierata con tutti gli effettivi eccezion fatta per Ivan Basso, infine sgradito al suo stesso direttore sportivo Johan Bruyneel. Un sulfureo Lance Armstrong prenderà inutilmente le difese del varesino, chissà perché aggravandone la posizione. E sarà il trionfo delle corse minori, l’apoteosi di un ciclismo più umano. Altri cinquantasette professionisti coinvolti a vario titolo nelle indagini dell’Operación Puerto si disputeranno da par loro, tra due ali di folla, nientemeno che l’Eindhoven Team Time Trial e il Giro di Polonia. Dall’associazione dei gruppi più o meno sportivi, altri fischi all’indirizzo del presidente dell’UCI Patrick McQuaid.
2. Distratti dallo scandalo del nandrolone nel cricket pakistano, quasi non ci avvedevamo delle consegne ravvicinate di Pallone d’oro e Bicicletta d’oro, rispettivamente a Fabio Cannavaro e a Paolo Bettini. Ora, senza voler per forza demitizzare i-più-importanti-riconoscimenti-internazionali-assegnati-dalla-più-prestigiosa-stampa-internazionale; e detto con un noto giornalista professionista dell’anti-doping, «non per avere vani toni persecutori da Torquemada, ma solo per fare e dare (al lettore-spettatore) un quadro completo. Ed evitare trasfigurazioni che non sono di questa terra». Insomma, solo e soltanto per rimettere a confronto il calcio e il ciclismo illustrati come sono oggi, dagli organici d’informazione. Orbene. Diffondiamo una notizia bombastica: tra i due campioni del mondo nonché capitani di nazionale, conserva un’immagine ancora migliore (facciamo men che peggiore) il ciclista, non il calciatore. Tié. PS. C’è un “però”. E se però lo stopper del Real Madrid fosse favorevole all’introduzione del test del DNA, tra le procedure di controllo anti-doping vigenti?
3. Per un noto settimanale on line di «critica televisiva e informazione», non vale la serie B delle telegiornaliste (considerate le più brave e le più gnocche, in ordine sparso). Il più autorevole dei critici televisivi la vedrebbe bene, invece, nientemeno che al posto di Auro Bulbarelli: nuovo capo-telecronista RAI voce-guida del ciclismo, a imbeccare verace il commento tecnico di Davide Cassani. L’intervistatrice col fiatone, svelta e volitiva, da anni fa egregiamente il suo mestiere. Molto grintosa, passionale, concitata il giusto. Insegue e raccoglie pensieri mai stupendi di professionisti taciturni. Si fa amici diversi corridori e diventa familiare a tanti spettatori. Appare in video fino all’ultimo Tour, nel luglio scorso. Dopodiché scompare. Si ritira, repentinamente. Fuggiasca? Cacciata? Coinvolta in qualche modo nelle indagini dell’Operación Puerto? Respinta dai riposizionati del dopo-elezioni? Vittima di un editto? Non è chiaro e non è dato sapere. Di certo, c’è la conferma del vecchio tandem di speaker RAI anche per la stagione che viene: Aldo Grasso se ne faccia una ragione. Al limite, si rivolga direttamente alla diciassettesima in classifica (ad oggi), nel Web-campionato delle più amate dagli italiani. Chi l’ha vista, Alessandra De Stefano?
4. Letta sul quotidiano d’ispirazione cattolica una divertita rassegna d’istruzioni pastorali d’antan, a scoraggiare tra i preti l’utilizzo della bicicletta: guardinghi vescovi di fine ‘800 giudicavano questa pratica scandalosa o quantomeno inopportuna, per un sacerdote. All’epoca anche da fior di laicissimi intellettuali, veniva la preoccupata considerazione della «pericolosità sociale» del nuovo mezzo: per fisionomia e per la fisiognomica, macchina «di straordinaria importanza sia come causa che come strumento di crimine» (Cesare Lombroso). Guarda un po’. L’uomo delinquente, centotrentanni prima dello strano caso del signor Basso e del dottor Fuentes. E senza nemmeno prendere i connotati-tipo all’uomo-ciclista professionista.
5. Visto riemergere all’Idroscalo, quel che rimane di una disciplina “nobile e antica” (vale a dire e non dire, “destinata a morire”). Il ciclocross di fango e di freddo è roba da fiamminghi e per pochi altri splendidi patiti. Specialità bella di suo, imbruttita solo dall’indifferenza che la circonda. Nell’ambientazione crepuscolare del mare d’inverno di Milano, la resa di un evento che aveva pure la sua relativa importanza è parsa, al minimo, inconsistente. Un grande campione come Sven Nys pedalava spettrale tra pochi capannelli di fantasmatici appassionati fuorimoda e fuori dal tempo. Il fatto che a un quarto di secolo da ET L’extraterrestre (USA 1982), ci sia poi una federazione internazionale che ancora crede e investe nelle challenge di BMX, certo non consola i nostalgici di Vito Di Tano: anzi, li disorienta non poco, là dove si ritrovano, dispersi tra le nebbie del laghetto delle Vergini o riparati nel bar Punta dell’est.

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

Share this article