I conti senza l’Horst

27 Giugno 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

Qualche post fa si parlava di Adi Dassler, l’uomo che dopo un grande successo imprenditoriale in epoca nazista (fabbricava le divise della Wermacht, per dirne una) si divise dal fratello Rudolf e nel 1948 fondò l’Adidas, mentre l’ex socio creò la Puma. Fabbriche ed uffici che per decenni, fino ai giorni nostri, sarebbero rimaste divise solo da pochi metri di strada nella natìa Herzogenaurach (Baviera) sopravvivendo a cambi nell’azionariato ed a mille guerre personali (la più famosa proprio fra Adi e Rudolf, che nel dopoguerra si accusarono a vicenda di essere il ‘vero nazista’ della famiglia, quello che aveva trascinato l’altro). In realtà il Dassler che sarà fra qualche secolo ricordato nella storia dello sport è Horst, il figlio di Adi, che negli anni Settanta letteralmente inventò il marketing sportivo. Il suo uomo nel calcio era Joao Havelange, ben prima della sua presa della Fifa nel 1974 ai danni di Stanley Rous, ma il potere di Dassler junior (che fra le mille cose fu il fondatore dell’Arena) all’inizio degli Ottanta si estendeva praticamente su tutte le federazioni internazionali più importanti. Insieme all’amico-socio Patrick Nally coinvolse grandi aziende diverse dall’Adidas (dalla Coca Cola in giù) nella sponsorizzazione delle discipline più diverse e nell’intervento diretto sull’organizzazione dei calendari e dei singoli eventi. Esistono diversi libri critici nei confronti di Horst Dassler, primo fra tutti quello di David Yallop (‘How they stole the game’) anche se troviamo più equilibrato il ‘Foul’ di Andrew Jennings, ma molte delle sue intuizioni rimangono geniali a più di venti anni dalla morte. Chi oggi sdottora su ‘brand’ e affini non sa di dovergli il suo spesso immeritato stipendio.
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