Televisione
I cartoni animati con i robot
Paolo Morati 18/12/2021
Per chi a cavallo degli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso si trovava ancora nel periodo dell’infanzia e adolescenza le serie animate giapponesi dedicate ai ‘super robot’ rappresentarono una novità rispetto a tutto quanto era stato considerato ‘cartone’ fino ad allora. Lo sbarco delle creazioni nipponiche sulle televisioni locali e nazionali (ossia all’epoca la RAI) avevano di fatto rivoluzionato l’azione disegnata, che fino all’epoca era pensata salvo rare eccezioni come un’esclusiva della scuola americana. Ci è venuta voglia di scriverne dopo aver visto la bellissima mostra Manga Heroes, fino al 2 gennaio alla Fabbrica del Vapore di Milano, che non si limita ai soli robot per un excursus profondo di generi in tutti i sensi.
Ora, tralasciando le polemiche che all’epoca si scatenarono sul ruolo delle storie animate giapponesi, poco comprese dagli occidentali, ci piace ricordare quelle che secondo noi sono le serie (a volte tratte appunto dai rispettivi manga) che hanno fatto la storia del genere super robot, dove la lotta era supportata da enormi marchingegni completi di testa braccia e gambe e guidati da esseri non sempre terrestri.
Premesso che useremo i nomi con cui sono conosciute in Italia, non possiamo non partire che da Goldrake (aka Atlas Ufo Robot), colui che grazie alla fantasia di Gō Nagai rivoluzionò il palinsesto della all’epoca Rete 2. Era il 4 aprile 1978, ora 18.45 e da quel momento nulla fu più come prima. In poco tempo a scuola non si parlava che di Actarus e della sua trasformazione per guidare il robot Goldrake, di Venusia e dello strepitoso Rigel, ma anche dei cattivi Hydargos e Gandal.
Ciò che all’epoca si ignorava era che Goldrake facesse parte di una saga, anzi ne era il terzo capitolo dopo Mazinga Z e Il Grande Mazinga, tanto che alcuni personaggi erano in comune. Successivamente arrivarono sui nostri schermi gli altri due capitoli, su RAI e locali, con il personaggio di Koji Kabuto a fare da trait d’union. Per tutti e tre sigle clamorose, che potrebbero influenzare il nostro e vostro giudizio la migliore.
Cosa che vale ancor più per Jeeg Robot d’Acciaio e il motivo cantato dal mitologico Fogus. Anch’essa uscita dalla mente di Gō Nagai, Jeeg Robot narra(va) la storia del giovane Hiroshi Shiba, che si trasforma nella testa del mecha, e della lotta contro il regno Yamatai guidato dalla regina Himika. Anche qui un racconto clamoroso, questa volta senza invasioni aliene, ma comunque avversari temibili nascosti nelle viscere della Terra. Frase di culto quella che richiamava il lancio dei componenti da parte di Miwa, pilota del Big Shooter. Un tema, quello dei tanti componenti, che distingue Jeeg dagli altri tre robot finora citati, e ottimo anche per l’industria dei giocattoli dell’epoca che poteva sfruttarne la modularità. Come spesso accade per le storie giapponesi, a regnare è anche la malinconia di fondo del protagonista.
Molta ironia invece la troviamo in Daitarn 3 di Yoshiyuki Tomino, anch’essa dalla sigla da primi posti da hit parade (da pompare al massimo i bassi), con il protagonista Haran Banjo e le sue affascinanti collaboratrici Beauty e Reika. Eccezionale l’idea dei Meganoidi e delle loro trasformazioni negli inquietanti ed enormi Megaborg. Una serie che secondo noi si posiziona di diritto in un podio ideale e tra quelle effettivamente più famose in Italia e più originali in generale.
Un po’ meno frequentati invece dal nostro televisore a tubo catodico sono stati Daltanius, Danguard, Trider G7, Gackeen (anche qui sigla da Top 10), Zambot 3 e molti altri. Mito assoluto infine la saga partita da Mobile Suit Gundam, creata come Daitarn 3 da Tomino, con il concetto di mecha lontano dal ‘robottone’ e inteso più come strumento di guerra ‘reale’. Un saga che vive ancora adesso nelle sue tante declinazioni, arrivata in Italia nel 1980 grazie a Telemontecarlo, quando di fatto ci sentivamo tutti un po’ come ‘Peter Rei’. Di culto, ancora una volta, la storica sigla italiana.