Come’era bella la Belle Epoque

28 Dicembre 2012 di Stefano Olivari

Midnight in Paris è il miglior film non newyorkese di Woody Allen, a pari merito con Match Point. Almeno secondo noi, precisiamo una volta all’anno anche se è scontato che tutto sia secondo noi. Non stiamo per propinare una recensione o per parlare di Carla Bruni (nella parte di una guida turistica, doppiata come se fosse l’ispettore Clouseau) ma per sottolineare il suo impianto ideologico, secondo noi adattissimo in questi giorni di bilanci di fine anno e di vagheggiamenti di una vita diversa. Con l’occhio sempre al passato, ovvio.

Midnight in Paris, liquidato da qualche spettatore come la solita storia dell’americano a Parigi e da qualche critico come la parodia della solita storia dell’americano a Parigi, è in realtà una delle più feroci prese in giro del sentimento che ammorba l’esistenza e la cultura moderne. Sì, la nostalgia. In senso privato, nostalgia di una propria età felice o presunta tale, ma anche in senso felliniano: nostalgia di un’epoca che non si è vissuta. La Resistenza, gli anni della ricostruzione, gli anni del boom, il Sessantotto, il movimentismo, gli anni Ottanta: tutti abbiamo un’epoca-feticcio che amiamo deformare a seconda delle nostre necessità e dei nostri fallimenti attuali. Poco male, se questo non si traducesse alla fine in immobilismo e in conservatorismo inconsapevole, del genere ‘tutto è già stato scritto e oggi non c’è più lo spirito di una volta’. Tutto diventa così un’immensa Costituzione che è sacrilegio anche solo mettere in discussione.

Gil, il protagonista, di mestiere fa lo sceneggiatore a Hollywood ma mitizza la Parigi degli anni Venti, quella della generazione perduta di intellettuali americani, di Picasso e di Dalì. Girando di notte per la città si ritrova proprio negli anni Venti dove tanto vorrebbe vivere e per una serie di coincidenze (forse è un sogno, comunque si tratta di un film) si ritrova nel salotto di Gertrude Stein a barcamenarsi fra Scott Fitzgerald e la moglie Zelda, ascoltando le esilaranti lezioni di vita di un Hemingway più Hemingway dell’originale, che tira fuori a comando racconti di guerra, di caccia, di viaggia, di tutto. In questo spazio-tempo si innamora di Amanda, ex amante di Picasso e di Modigliani. Anche Amanda, nonostante sia al centro del mondo di questa età dell’oro, ha una sua personale età dell’oro che coincide con la Belle Epoque (dagli ultimi decenni dell’Ottocento alla Grande Guerra, più o meno). E com’è, come non è, si ritrovano proprio nella Belle Epoque allo stesso tavolo di Toulouse-Lautrec, Degas e Gauguin. Non sveliamo il finale, ma il messaggio è chiaro: il passato va conosciuto e studiato, ma senza mitizzarlo, se no è solo una morte anticipata.

Share this article