A scuola da Zanon

26 Agosto 2013 di Oscar Eleni

EleniOscar Eleni dalle rocce della Galizia, seduto davanti al mare in burrasca con un binocolo trovato dentro il faro di Cabo Silleiro dove ci fanno compagnia i ricordi di una vita attraversata nelal tempesta con Paolo Zanon. Arbitro emerito, baffi da doge, uomo avveduto, raffinato, affascinante, anche se la prepotenza del regista incompreso sul campo reyerino, la presunzione del sestiere dove si nasce per comandare, scegliere pescatori e pesce, l’idea di tenere in mano una partita, l’anima dei viandanti che lo incrociavano sul campo, lo aveva fatto nascere per essere giudice, arbitro. Ci ha lasciato uno dei giusti, lo hanno dovuto ammettere persino quelli che lo perseguitavano in piena battaglia mediatica per il territorio scudetto del grande basket, quandoBianchini predicava dalla sua montagna e Peterson insegnava ad una nuova generazione cosa vuol dire allenare e pensare nello stesso tempo.

Zanon  e la sua scuola veneziana. Aveva imparato sul campo nel posto più bello, poi quando aveva scelto il grigio della vita e della maglia per arbitrare non si è mai dimenticato di amministrare il gioco con la stessa gioia che aveva quando era lui a dover passare, tirare, prendere un pallone. Sembra  banale, ma la differenza nelle scuole arbitrali, spesso, nasceva proprio dal vissuto. Se eri stato dentro le righe per giocare non potevi fingere di essere soltanto amministratore della legge se decidevi di fare l’arbitro. A lui piaceva il gioco, era uno di quelli convinti che il basket fosse sport di contatto per gente vera, non per cicisbei, per ragazzi che si allenavano con il piumino della cipria e poi scleravano se in campo si sentivano addosso il fiato del nemico. Intepretava le regole, non era un crudele ed ottuso gestore del regolamento. Scuola sana, quella dei veneti e friulani in generale, dei grandi toscani, di alcuni romani e di molti emiliani. Ma Venezia era stata sempre speciale come dicevano i fratelli Burcovic, come sapeva bene il Cazzaro che scelse il “ grigio” affascinato da quell’Emiliano Zapata delle calli che era nato nel giorno dell’intuizione progressiva.

Eh sì, lo Zanon che ha visto di tutto e di più in oltre 500 partite dirette in serie A, quando si è ritirato ha avuto quella intuizione: chiudere con tutto e tutti. Ne aveva sentite, viste abbastanza, gli dava fastidio dover sorridere a chi era in manifesta malafede, ululante sul campo davanti ai tifosi, zuccheroso ed untuoso fuori per chiedere scusa. Capitava con i giocatori, con gli allenatori, con noi giornalisti. Si è sempre battuto come il nostro idolo messicano. Non volevamo che uscisse dal basket, così come non avremmo mai voluto vedere Facchini fuori gioco e il limite d’età, in una categoria di duro reclutamento in un paese che, come vediamo, ama leggi e giudici come i vampiri con l’aglio, resta una scemata FIBA che la NBA, per fortuna sua, non ha mai preso inconsiderazione. Zanon si è chiamato fuori e ha lasciato sulla porta amici veri, fratelli di campo e di battaglia, quel Gorlato (a sinistra nella foto del sito della FIP, quello a destra è ovviamente Zanon) che gli voleva così bene, lo stesso Cazzaro che divenne il curatore dei suoi furori  del prima e del dopo, i giovani come D’Este nati per seguirlo. Non ha più parlato con nessuno. Forse ha lasciato qualche confessione, ricordo, alClaudio Pea che lo trovava spesso nei posti dove i miasmi della laguna, della politica, quella del porto pieno di nebbia che è la città sfaldata da dighe fasulle, delle piccole consorterie federali e arbitrali, lo facevano diventare scettico sul futuro. Ci è mancato nel dopo carriera: avrebbe avuto tanto da dire alle nuove generazioni, perché aiuta tutti, persino federazioni e leghe imbelli, mandare in campo arbitri che possono guardare negli occhi un giocatore, un dirigente, un tecnico, facendogli capire di  sapere bene cosa sta cercando, ma la sua scelta andava rispettata. Quando ha salutato il mondo chi lo è andato a trovare per l’ultima volta si è reso conto che non c’erano più legami con questa generazione, con questa Venezia invivibile, un mercato aperto come una cloaca, con questo basket che non vuole ricordare, che finge di non avere memoria. Che il mare gli sia lieve, perché lui non è uomo da stare sotto terra. Addio grande Zanon, Paolo per i tanti amici che aveva, Zapata per chi sapeva cosa combatteva.

Da Baiona, dalla Galizia, da quella terra aspra dove nasci per soffrire, ma anche per creare diceva Luisito Suarez, ci portiamo verso Capodistria perché il 4 ottobre, alle 21 della tarde, troppo tarde accidenti a voi della Fiba, sapremo se l’Italia dei guastatori, se la Nazionale maledetta dalla maga Circe, dalle dee invidiose ce l’avrà fatta a compiere il mezzo miracolo anti russia. Saranno i giorni speciali del piccolo principe Pianigiani che si è rivisto in piazza nel giorno del Palio d’agosto quando il cavallo della sua contrada, la Lupa, condannata ancora a tenersi la cuffia delle nonne destinata a chi non vince da troppo tempo, pur montato dal re della piazza ha deciso di mandarlo nella terra a San Martino per correre libero fino  ad insidiare i vincitori dell’Onda. Il mare senese dove è approdata  la figlia di Colnago, telecronista buono per tutte le stagioni e tanti sport, ex consigliere federale, padre amoroso da non avere a bordo campo se alleni uno di casa, una ragazza d’oro dicono quelli di Malborghetto perché da quando è stata battezzata ha già vinto due volte. Ecco, Pianigiani accetterebbe volentieri di volare via alla curva di Capodistria se il cavallo azzurro avesse comunque la forza per arrivare almeno dietro i primi. Lui ha fatto un lavoro importante, la squadra esiste, ha un cuore, una testa, una speranza, una sua forza, ma, purtroppo, manca di troppe cose: prima di tutto dei due mugliori giocatori italiani, Gallo Colorado e Hackett tormentato e malc consigliato, poi di chili e centimetri e quelli di Bargnani facevano comodo per confondere le idee, anche il suo tiro poteva servire visto che nel lavoro a Folgaria aveva finalmente capito che gli conveniva stare nel gurppo e non con il nasino all’insù come nell’ultima precaria esibizione in Nazionale. I guastatori, come diceva il sergente Gunny sono i primi a lasciarci le dita, a sentire i colpi del nemico. Ora noi ci auguriamo che l’ultimo ranking della FIBA sia sbagliato: 1 Grecia per la gioia avvelenata del Trinchieri che non vuole fari  addosso, almeno all’inizio, poi Lituania, Spagna, ohibò direbbe il rude Orenga tradito dal primo Gasol, Francia, Slovenia, Montenegro, Serbia, Turchia, Russia, Croazia e, all’undicesimo posto, Azzurra tenera. Speriamo che si sbagli il computer, lui ragiona sul precampionato che non dice quasi mai la verità, ma meglio arrivare al buio e il fatto che la Russia, perseguitata come noi dagli infortuni, tormentata da una situazione tecnica che, per fortuna, è molto più confusa della nostra, sia poco più avanti deve darci almeno speranza.

Sgambettare loro vorrebbe dire andare alla seconda fase, o almeno, essere messi  bene, una spinta di cui abbiamo bisogno, molto più delle preghiere che sicuramente fa Gianni Petrucci ogni giorno perché è il primo a sapere che al tribunale del Coni non vedono l’ora di togliergli qualche euro per mancati risultati. Sono fatti così al palazzo Acca. Contano le medaglie, anche per le freccette, non valutano il peso delle stesse. Sanno di mentire, sanno tutti cosa vuol dire atletica universale e sport di nicchia,  sport che si fa in tutto il mondo e discipline che si praticano soltanto nelle zone dove certe culture hanno fatto sviluppare talento e tecnica escludendo, però, mezzo pianeta, ma fingono di scordarlo quando c’è da barattare pennini con gomme. Sport di squadra e individuali. Tre medaglie contro cento.

Ci serve una squadra di Enrico Toti ? Sì. Eroismo del campo. Un vestito che nella storia ci ha ha fatto arrivare a coppe importanti. Non era favorita la nazionale di Nantes del 1983, ha rischiato il bagno nel primo girone quella incoronata a  Parigi nel 1999. Non parliamo poi delle due nazionali salite sul podio olimpico di Mosca 1980 e Atene 2004. Come amanti vogliamo cantare in maniera delirante. Se le cose andranno bene saremo tutti felici, in caso contrario niente processi sommari. Come dice Peterson, quando non suona l’organetto sul fatto che la buona difesa nasce dai buoni attacchi, sapendo che i suoi bassotti Billy hanno fatto storia sputando sangue davvero, sono state gettate davvero le basi per costruire un sistema basket italiano meno provinciale, diciamo un consolato tecnico come quello di Giancarlo Primo, ma attenzione a non credere che tutto nasca e muoia dove dicono Pianigiani e Cuzzolin, i tecnici e gli specialisti della squadra Italia. Esistono terre inesplorate, posti dove non sanno davvero cosa sia il mondo al di fuori, per allenarsi, per rapporti con gli arbitri, per vivere da professionisti, ma anche contrade emancipate. Primo cambiò tanto, poi chi la pensava diversamente da lui veniva bandito per sempre.

Lasciare Azzurra senza badare al torneo dell’Acropolis da fare in occhiali scuri per vivere questa strana febbre dei raduni precampionato. Tanta gente.  Affetto smisurato. Più gente che a certi botteghini del calcio. Esiste, cazzo se  esiste il popolo del basket, ma lassù, nel nido del cuculo c’è qualcosa che non va. Sapete voi se la televisione si collegherà con il campionato? Dicono che a prezzi stracciati, come è accaduto con l’Europeo preso dalla Rai in contumacia, avremo il contatto che serve agli sponsor per far sapere che non hanno sprecato tempo e denaro. Vedremo. La Lega achi darà voce adesso che Siena deve pensare ad altro?

Felici per il 20° campionato concesso da Roma a Tonno Tonolli. Gente come lui anima una squadra, la fa esistere.

Amareggiati per la vicenda Di Bella e speravamo che la GIBA intervenisse. Siamo davanti ad una brutta faccenda.Lo sa il giocatore, lo sa chi gli ha offerto la via d’uscita per transare il pregresso, chi lo ha fatto minacciare dalla curva, chi deve ingaggiarlo per il prossimo anno. Vorremmo sapere tutto anche noi.

Doloroso il distacco di Carraretto da Siena a cui ha dato tanto, ricevendo certamente il massimo. Il capolinea si può raggiungere alla Tonolli, alla Datome della Roma dell’anno scorso, decurtandosi lo stipendio davanti alla vera crisi, ma anche in questo modo. Ora sparare sale e pietrisco su Minucci sembra facile persino per i merli che hanno cercato  di capire come nasceva il fenomeno Siena. Prima dicevano che era solo per i soldi. Sapevano di mentire, ma pazienza. Poi quando crisi e scandali hanno fatto diventare tossica l’aria quel duca di Chiusdino si è messo a lavorare in una caverna, ha rivinto tutto e gli altri ci sono rimasti davvero male. Ora la “mossa del cuore” di Hackett gli ha bruciato il poco che aveva in cassa. Sarà una stagione di sofferenza, quotata a venti come dicono in sala scommesse e non solo al Canaglia, ma non diteci che la fortuna del sistema ci guadagnerà se davvero arrivasse l’uomo del monte a dire che bisogna chiudere.

Milano suonerà le sue trombe per il raduno alla secondaria del Lido prima di puntare sulle montagne. Come ci pare la nuova Armani? Gli uomini scelti per dirigere tecnicamente il gruppo ci sembrano buoni. Banchi ha voluto come vice  Cancellieri quando dal piano di sopra avevano sussurrato altri nomi, tipo Caja, a chi sa benissimo che una pubblicità al giorno toglie la critica di torno, ha in squadra gente che  ha imparato come ci si guadagna il pane duro e potrà insegnarlo a chi si sente ancora principino sul pisello, a chi pensa di essere nato con dei privilegi perché gli hanno dato la maglia dell’Emporio. Ora il Banchi che a Siena  sapeva  cosa serviva il muro di cinta della società deve scoprire una realtà nuova. Il muro, il Castello, come dicevano il quel film di Redford, a Milano te lo devi costruire da solo nel dubbio che non ci siano altri a garantirti ponte levatoio e arcieri per la difesa, nel timore che come in quel film il direttore delle operazioni si faccia venire la smania di apparire e scomparire nei momenti sbagliati, come negli anni del sacro sperpero direbbe chi è inginocchiato davanti alla dea Blanchette nel resort del centro milanese.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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