Il ricamo di Recoba con il Lecce

9 Agosto 2020 di Paolo Morati

Ci sono appassionati di calcio che si esaltano per le cifre e i numeri, le sgroppate sudate di 90 minuti, i passaggi arretrati senza rischi. E altri che invece si emozionano per un gesto, un tocco, un movimento, l’azzardo di un attimo meraviglioso. Sono due modi diversi di vedere il calcio, non è che un gruppo sia composto da intelligenti e l’altro da cretini: fra l’altro a volte questi due mondi possono convivere nella stessa persona, nello stesso tifoso.

È domenica 21 novembre 1999. A San Siro l’Inter ospita il Lecce, fa molto freddo e noi siamo appollaiati sul terzo anello con un gruppo di amici abbonati. Alvaro Recoba è in panchina mentre i nerazzurri allenati da Marcello Lippi hanno vita facile chiudendo il primo tempo, e la pratica, sul 4-0 grazie alle reti di Georgatos, Zanetti, Jugovic e Zamorano. Al quinto del secondo tempo Ronaldo sigla su rigore il 5-0, ma pochi minuti dopo si fa male seriamente (rientrerà il 12 aprile nella finale di Coppa Italia e si farà ancora più male) al tendine rotuleo e viene sostituito dal Chino.

Una situazione a prima vista trascurabile. Per noi invece Inter-Lecce inizia da lì. Ci agitiamo nello spazio ristretto della piccionaia come nel recupero di una finale di Champions ancora a reti inviolate, mentre i compagni di spalti poco recobiani (anzi per nulla, quante discussioni…) ormai hanno messo da parte le ragioni di emozione. Loro hanno i tre punti, sono contenti così, per molti conta solo vincere.

Ma ecco che al minuto 65 l’uruguagio numero 20 riceve palla al limite e in mezzo secondo aggancia, fa un sombrero a se stesso, scavalca l’avversario e insacca alla sinistra di Chimenti. Dopo un gesto per lui così elementare, Recoba sorride festeggiato dai compagni, è felice come giusto che sia per chi fa le cose che agli altri non riusciranno mai. Un gol inutile, anzi inutilissimo, ai fini del risultato (giusto per precisare che anche noi sappiamo la differenza fra uno 0-0 e un 5-0), ma fondamentale per la sua inaudita purezza estetica. Un attimo di perfezione, il ricamo di un artista della sfera in un campo verde di semplici calciatori.

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