L’anima di Daniel Hackett

20 Maggio 2019 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dall’Estremadura, in un posto che diventa specchio dell’anima: Malpartida de Caceres sul fiume Douro. Angolo di meditazione mentre i soldati di ventura dell’Armata Rossa alzano la loro ottava coppa diciamo dei campioni nella competizione dove non è mai soltanto la ricchezza  fare la differenza, come dicono le volpi nostrane davanti all’uva imprendibile e quindi acerba.

Nel gruppo uno di Forlimpopoli, Daniel Hackett, nato da lombi nobili come quelli del Rudy americano che ci ha dato belle partite e buon gioco ai tempi in cui gli stranieri del campionato erano pochi, ma di qualità. Nella finale anche un arbitro italiano, il Luigi Lamonica che si gode il mare di Capo d’Orlando perché in Italia, per via dell’età, non lo fanno dirigere.

Anche se poi sul campo vedi gente che è davvero contro lo spirito del gioco, i ceronati che passerebbero ore davanti al VAR, sapendo di essere inquadrati dalle telecamere, una piaga che spezza il ritmo delle partite, una barba anche se ci dovrebbe dare garanzia di maggior giustizia al di là delle amicizie  e delle pressioni. Nella fretta notturna abbiamo anche esagerato affiancando Hackett a Datome e Melli come vincitore di coppa. Melli non c’era con quel Fenerbahce, c’era invece a Milano quando  decise di lasciare la nobil casa come il ragazzo di Forlimpopoli cresciuto a Pesaro da una mamma guerriera. Avrà preso da lei questa garra da finale pur dovendo stare dietro, si fa per dire, al genietto Larkin.

Era però Daniel l’anima del quintetto operaio scelto da Itoudis per battere Ergin Ataman, che fino a ieri consideravamo un imperatore un po’ sopravalutato, anche se Siena gli deve la vera emancipazione  europea, ma che con questo Efes, dell’altro ex milanese Simon, croato al fosforo, ha fatto una stagione capolavoro e passare dall’ultimo posto alla finale tenuta in vita fino a 2 minuti dalla fine c’è più del Bosforo.

A proposito di Siena, ci ha davvero addolorato la fine societaria e ancora di più aver letto che chi ha preso in mano quei cocci è stato costretto a mandare via Riccardo Caliari,  prima addetto stampa, poi uomo ovunque del club, infine addetto al marketing in mezzo a gente dal braccino corto come si è visto, uno di quelli giusti che meriterebbe di tornare subito sui campi.

Bella finale, bella atmosfera, Bertomeu ci sa fare davvero e anche il designatore degli arbitri che nella semifinale turca ha mandato in campo la tedesca Anne Panther che come i veri direttori di gara si nota poco, ma si apprezza molto.

L’anno del Real, più di quello del Fener di Obradovic e Gherardini, ci ha fatto sedere a tavola con i coccodrilli che strepitano se  i giocatori bandiera, avanti con gli anni e con le gambe un po’ pesanti, i riflessi un po’ più lenti, vengono accompagnati alla porta. A Madrid dove già si chiedono se sia stato saggio richiamare Zidane dopo lo sfascio iniziale, la perdita di Ronaldo, si domanderanno anche perché Pablo Laso è riuscito a perdere la semifinale con il CSKA che aveva in mano. Sentimentalismo, quello che certo non hanno alla Juventus, o non ha il Pallotta romano, perché insistere con Llull, il suo torero preferito purtroppo reduce da un brutto infortunio, è stato davvero letale, anche se poi il maghetto aveva trovato il colpo della speranza prima che il macedone Itoudis colpisse in via definitiva.

Dell’addio dei giocatori simbolo si discute da sempre.  Se il campione non ha voglia di smettere ti mette nei guai, perché Spalletti, Di Francesco, Allegri avranno anche le loro colpe, però è la loro testa che salta quando non ci sono i risultati sognati, nel caso del livornese pentatitolato neppure i risultati a quanto sembra. Ora sappiamo tutti che negli sport di squadra il vaso di coccio diventa sempre l’allenatore se intorno non c’è gente competente, ma soprattutto onesta.

Vi avevamo promesso silenzio da playoff, almeno fino alle prime eliminazioni, ma lo sport intorno a noi ci obbliga ad urlare se si vivono schifezze come quelle dei genitori in tribuna che insultano gli avversari dei figli e, visto il clima e il paese dove vivono, non si vergognano neppure di gridare al ragazzino di colore che sta sul campo. Doveva essere silenzio ma il successone di pubblico nel torneo di tennis a Roma, con l’obbligo di dover sopportare anche i cialtroni ululanti per il gladiatore da salvare e quello da uccidere, ci hanno fatto dimenticare la rabbia dei tantissimi atleti che in altri sport guadagnano niente in confronto a chi supera il secondo turno non solo negli Slam, ma anche nei tornei sottostanti. Certo il tempo è stato carogna, ma più carogne quelli che se la sono presa con Palmieri che ci sembra uno dei pochi dirigenti che ha sempre avuto visioni lucide sul mondo, guardando avanti, senza dimenticare chi stava dietro.

Nei giorni del silenzio si prendono comunque appunti che ora vi mettiamo nel paninozzo di giornata.

Interessante vedere al lavoro con i ragazzini, profughi, Mabel Bocchi e Antonelli. La federazione muta sul caso Tanjevic, forse i problemi famigliari di Boscia erano nella casa dei cesti non certo nella sua, dovrebbe sfruttare, approfittare perché non vorremmo che tutto l’impegno fosse dedicato al mondiale cinese che sarà anche importante, ma, sapendo già che in caso di successo i suggeritori daranno merito ai giocatori, soprattutto gli assenti in qualificazione, e, invece, in caso di sconfitta, tutte le colpe saranno di Sacchetti, perché agitarsi tanto se la mamma non ne fa più di centri da battaglia internazionale.

Non riusciamo a gioire ancora per la supercoppa di basket assegnata a Bari, come fa il presidente di Lega.

Ci siamo svegliati di soprassalto temendo che la caccia al profitto dei giornali potesse coinvolgere anche Sportweek che Dore dirige davvero con l’affetto che dovrebbero avere tutti per lo sport. I suoi inviati, da Silvia Guerriero a Fabrizio Salvio, fanno delle interviste che aiutano a conoscere, non snobbano, non vanno nel sottoscala ad annusare.

Nella stessa notte di crauti e zampone ci siamo chiesti se dovevamo dare retta al nostro amico Rapuzzi nel sentire un fremito speciale per la giornata d’oro della nostra pallavolo a Berlino: due coppe d’Europa conquistate dal veterano Barbolini, clan Julio, con le ragazze di Novara e da Fefè De Giorgi, citofonare Velasco o Rudic come dice lui che ama pure l’allenatore di Duke, con la Lube Civitanova. Certo è un mistero questa scelta RAI di lasciare a DAZN la notte magica.

Ma della RAI perché stupirsi? Con il provincialismo e la spocchia solita sono stati capaci di andare in diretta con il play off italiano di Venezia alla stessa ora della finale europea di Vitoria, lasciando da parte la concomitanza con Juventus, Atalanta, Inter e Napoli. Un tanto al pezzo, si decide chissà dove e poi non si corregge anche davanti ad un evidente flop di ascolti. Una volta un collega di un  giornale importante che aveva scritto cose non vere ci replicò che intanto la gente avrebbe creduto a lui e ai suoi padroni, non certo a degli apprendisti di agenzia. Ragioneranno così anche in RAI sport dove fare ascolti sembra più facile, non importa la qualità dell’avvenimento.

Non so se la politica lo rimpiange, ma di sicuro il giornalismo sportivo ha trovato in Veltroni un gigante.

Sui premi del basket dopo le 30 partite di campionato ci sarebbe da discutere, ma adesso si vota così  ed è giusto che Cremona e Brindisi, le due rivelazioni dell’anno, abbiano avuto tanti consensi.

Dall’osservatorio PEA segnalano Filloy a Milano, Della Valle, non soltanto per una presunta lite con Nunnally, ahi lo spogliatoio con gli spifferi, a Berlino e ci danno già il quintetto per il mondiale. Per Sacchetti una fatica in meno, anche se non mancheranno critiche se dovesse davvero scegliere di testa sua e non andando dietro ai suggerimenti “per simpatia” che ormai caratterizzano la dialettica di un ambiente dispettoso che farà davvero fatica a capire Sardara se davvero dovesse portare la sua Accademia da Cagliari a Torino, una trovata geniale che al basket e alla città avaruccia e derubata farebbe tanto bene.

Nel Paese dove i sottosegretari alla Cultura si vantano di non leggere libri da tre anni noi continuiamo a privilegiare questo fastidioso passatempo ringraziando i colleghi che ci aiutano a capire meglio e dispiace davvero che Walter Fuochi sia spesso leggibile soltanto sulla Repubblica di Bologna, così come siamo grati a Cimbrico per il Berruti e per il Quercetani che davvero avrebbe meritato più di un necrologio in rosa dei suoi amici veri di Roma.

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