Il Mondiale di Povia

4 Marzo 2019 di Oscar Eleni

Oscar Eleni nell’archivio del meraviglioso museo del cinema di Torino per poter rivedere la lezione di Nicola Lagioia su Charles Laughton, attore magico, l’avvocato sublime e peccatore in Testimone d’Accusa, film appena rifatto male, dove il cattivo era Tyrone Power e la vittima una stupenda Marlene Dietrich.

Bisogno di aria fresca dopo aver visto come è stata trattata l’atletica, ria TV che compri e sbatti in streaming anche l’oro, una medaglia dopo anni, per questo europeo indoor di Glasgow che non ci rende più ottimisti, ma almeno ha dato due medaglie. Felicità per il bronzo delle quattrocentiste che si meritavano un premio dopo i pasticci di chi guidava male a Berlino, gioia vera per l’oro di Gimbo Tamberi. Con la rabbia e l’invidia di chi sa benissimo che, se avesse trovato l’occasione, questo genio del salto in alto, nato vicino al borgo medioevale di Ancona, avrebbe giocato volentieri a basket. Ci servirebbe un bel rimbalzista e poi, scommettiamo, ci diranno che tira pure bene. Per ora, purtroppo per il basket, ma per fortuna dell’atletica, si diverte soltanto a vedere la NBA come il suo amico Paltrinieri. Uomini d’oro dello sport italiano che con il ventiduenne Ganna, tre volte mondiale nell’inseguimento, si sta esaltando, come con Paris quando scia e forse anche quando canta, ma a dir la verità siamo più colpiti dai progressi della Paternoster nella comica di un Paese che sta trovando talenti per le gare in pista, ma non ha un velodromo dove far allenare questi campioni. Siamo nel periodo nero dove si preferisce rimandare che fare. In ogni campo. Da tanto tempo e fra poco ci presenteranno il conto.

Sognando Tamberi al Mondiale in Cina con Azzurra Fremebonda, ma anche quello di atletica, che lui potrebbe vincere a Doha, ci sediamo sul fiume per vedere passare tutti i “cadaverini” amici stretti di quei furbacchioni che si sentono di sinistra perché al circolo del golf vengono guardati in cagnesco se stanno sfogliando l’Espresso. Sono i tamburini gelosi che si schierano dietro il labaro dei ricconi, di quelli arruolati dalla regina di Francia per portare le brioches al popolo affamato che, infatti, poco dopo, le tagliò la testa. Banda dei Ganassa della quinta strada. Puntano su chi è davvero più forte e ne scrivono il vangelo. Una tattica per sentirsi bene davanti allo specchio. Stare con chi non dovrebbe chiedere mai una scusa, anche se poi capitano guai perché qualche avversario non è stato informato che se batti le favorite, le unte dal signorotto del momento, allora la curva lascia l’arena e altri se ne vanno sbattendo la porta, urlando che tanto non si perderanno niente. Forse hanno anche ragione, almeno nel basket, sul calcio vedremo, perché le due finaliste di Coppa Italia dell’anno scorso, Torino e Brescia, sono in mezzo ad una stagione che definire negativa è poco. Vedremo Cremona che intanto “costringe” Sacchetti al parricidio del suo figlioccio Pozzecco in un supplementare con Sassari ancora da risvegliare dopo il divorzio da Esposito, diablo cinquantenne che nella sua intervista a Gotta per il Giornale ci ha fatto capire tante cose.

Mentre i ragazzi dell’incenso, quelli che amano il velluto, sghignazzano pensando al povero Galbiati, allenatore arrivato dopo il santone Brown nella Torino che al Museo del Cinema finirebbe in zona horror. Lui, l’uomo della Coppa Italia a sorpresa, aveva detto alla vigilia: “A Milano per capire chi siamo”. Non era il posto giusto. Potrebbero scoprirlo anche quelle squadre di Eurolega che dovrebbero incrociare l’Armani nei playoff: se fosse il Real Madrid consiglieremmo attenzione a Pepe Laso e alla sua ciurma un po’ confusa dalle ultime sberle prese contro il Barcellona di Pesic che è allenatore vero. Se poi ci fosse stato Gudaitis avrebbero dovuto fare attenzione in tanti: vero che Milano anche con il Khimki, per tre quarti, era una squadra a gambe aperte, mai piegate per difendere, ma l’ultimo tempo, finalmente un po’ di coraggio e generosità non usuali e non certo il marchio sul blu della real casa, hanno fatto capire il potenziale di una squadra che ha potuto persino benedire la partenza di Dairis Bertans verso la NBA senza scomporsi. Hanno tutto, danno 100 punti a Torino senza Micov. Sono i padroni, lo erano dal primo giorno, dall’anno scorso, così come la Juventus e, rispetto ad Allegri, il toscano senese Pianigiani sembra avere più munizioni per l’Europa, anche se con l’Atletico non si può ancora dire che sia finita.

Commossi dai ragazzi di Boskov, la Sampdoria del titolo, che fanno ancora gruppo e poi dicono che gli allenatori contano poco: be’, era una bella fortuna, anche per chi lavorava nel calcio, avere Rocco, Boskov, Trapattoni, Scopigno, Liedholm, Maestrelli, gente di ieri per evitare le polemiche di oggi dove il Var invece di aiutare fa impazzire, sfiniti dai paginoni su chi vive intorno al campo, mai dentro davvero, come tanti. Intanto ringraziamo i colleghi che hanno raccontato la storia di Paolo Povia, cresciuto nell’Ebro Milano, allenatore delle giovanili a Pesaro e in Svizzera, che ha portato al Mondiale la Costa d’Avorio, pure lei, come Azzurra assente da 13 anni. Lo diciamo sul serio senza pensare all’ironia di chi ha visto feste esagerate per la promozione dell’Italia.

Una bella avventura fra visti negati, disagi, anche se non cambieremo giudizio su un Mondiale allargato dove non troveranno posto Slovenia e Croazia. Certo è capitato spesso anche all’Italia, ma le due escluse non ci vanno perché i loro migliori sono tutti impegnati altrove, mentre noi non siamo davvero sicuro che con 5-6 innesti, considerando Nico Mannion, avremo una squadra molto più forte di quella che aveva battuto l’Ungheria a Debrecen di pochi punti. Ora dire che Sacchetti ha sbagliato a farsi rinnovare il contratto, invece di salutare la compagnia, vuol dire proprio non conoscere il nostro Mujica che è sempre stato così barricadero e molto naif: borbottante con il mondo (giornalisti, squadroni, giocatoroni) intorno alla Nazionale di Gamba prima dell’argento di Mosca e dell’oro di Nantes, nei posti dove è stato ad allenare ed è stato mandato via, persino a Sassari, ma sempre in trincea e adesso ancora più pericoloso perché si è regalato un lupo.

A proposito di Sacchetti abbiamo letto, sul sempre vivace blog del carissimo Claudio Pea che, fra le notizie divertenti di febbraio, oltre a quella sul Danilo Gallinari generoso secondo l’inserto della Gazza, ci sarebbe anche quella della pace fra Tanjevic e il Nurejev di Altamura come lo chiamava Sales. Era in questa rubrica. All’amico diciamo che se una cosa la dice Boscia gli crediamo e lo serviamo, seguendo, come sempre, questo sognatore, andando felici dietro al suo bastone della pioggia che non manca mai se combatti, per vincere, per vivere. Non faremmo lo stesso con altri di questo basket. Dai dirigenti a molti allenatori. Pagelle per dimenticare che, contrariamente a quello che si pensava, siamo anche capaci di far ridere.

10 A PAOLO POVIA, milanese, che al mondiale in Cina guiderà la Costa d’Avorio. Lui, con Scariolo, principe di Spagna, rende felice la scuola allenatori nazionale che si sente sempre superiore, anche se poi non è sempre vero.

9 MAX MENETTI che con l’aiuto del trentasettenne David LOGAN, uomo del triplete a Sassari, ha riportato Treviso agli occhi del mondo con il successo della coppa Italia di A2 sulla Fortitudo che ha completato la settimana nera di Bologna. Vazzoler ha visto più lontano dell’ingrata Reggio Emilia.

8 A TAMBERI, atletica, e PALTRINIERI, nuoto, campioni veri di altri sport che smaniano per il basket molto più di alcuni dei nostri professionisti sul campo, gente sempre uguale. Soprattutto negli errori.

7 A Dairis BERTANS, il lettone di Valmiera che ha salutato Milano, con i ringraziamenti dovuti dell’allenatore, per andare nella NBA a New Orleans. Sul campo da noi ha fatto buone cose, ma non sempre è stato capito.

6 A TRENTO e VARESE per come hanno ripreso il campionato dopo la sosta lunga: vedi subito i posti dove si lavora e non si chiacchiera. Dove i giocatori ascoltano. Quasi tutti perché non tutti hanno agenti e famigli che aiutano.

5 Al COMUNE di MILANO in senso lato perché con troppa enfasi viene annunciata l’apertura, per giugno, di quello che fu il Palalido, una fabbrica aperta tanto, troppo tempo fa in una città che vede il suo grande basket e la sua bella pallavolo in esilio. Altro che respiro olimpico.

4 A RAGUSA, vincitrice della coppa Italia femminile nella finale contro il GEAS, perché ci fa sentire in colpa: tutti se ne sono accorti troppo tardi in una edizione che, come quella di Firenze per gli uomini, ha visto cadere la grande Schio e Venezia, ma le ragazze erano giustificate dal flop dei maschietti.

3 A REGGIO EMILIA che sembra non ritrovare se stessa, barcollante in fondo alla classifica insieme a Pistoia. Il restauro, nuovo allenatore, nuovi giocatori, non ha abbellito una casa che una volta guardavamo con orgoglio per come valorizzava il suo splendido vivaio.

2 Ad AVELLINO che non può giustificare lo scarto subito contro Trento con scuse banali. Vucinic ha fatto il massimo quando c’era carestia, ma ora sembra tornata una banda del buco, con poca rabbia. Una delusione.

1 Alla FEDERAZIONE che anche per questa stagione ha deciso di non aprire le porte della Casa della Gloria seguendo il sonno della FIBA delle finestre. Certo questa mancanza di memoria, questo fastidio per il passato che trova tante società aderenti, spiega molte cose perché nel basket altro sport ci si sente a disagio. Come dice Gamba, presidente della commissione ombra, il tempo stringe.

0 Alla VIRTUS che ha già dimenticato Firenze, il colpo su Milano, sbattendo sulla zona di Venezia senza Daye. Dicono che la panchina di Sacripanti traballi, così come dicevano di Inzaghi, a meno che non trovi Houdini in un veterano come Mario CHALMERS. Dicono che sarà un allenatore di scuola slava a sostituirlo. Ci dispiace vedere il Pino nei guai, ma doveva ascoltare chi gli diceva di insistere sulla squadra che garantiva difesa, lasciando a sedere gli altri, quelli che in attacco vivono da narcisi sul tiro da lontano e poi vanno a sbattere contro ogni luce, mettendo ai ferri chi fa cilecca troppo spesso sui tiri liberi, come chiedeva Bucci a Porelli quando Rolle si rifiutava di finire l’allenamento con una serie dalla linea dove capisci meglio l’anima e la testa di un giocatore. Vista la partita con la Reyer sarebbe ora di ripristinare la multa e il tormento, senza credere ai finti virtussini per sempre che ora stanno sul campo.

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