Paola Egonu e lo spogliatoio femminile

13 Novembre 2018 di Indiscreto

Il coming out di Paola Egonu ci è sembrato fin dall’inizio studiato a tavolino, visto che è arrivato sul Corriere della Sera in un’intervista su argomenti generici e con una giornalista che non segue la pallavolo. Certo aspettarsi grandi rivelazioni da quelli della parrocchietta (e vale anche per le nostre, di parrocchiette) è sempre dura… Rivelazioni a puntate, visto che in una delle successive è stato deciso di far conoscere al mondo anche il nome della fidanzata, la collega Skorupa (più anziana di 15 anni, l’azzurra ne ha 19), con un bacio al termine della partita di Supercoppa fra Novara (dove erano compagne, adesso la polacca gioca altrove) e Conegliano di cui senza quel bacio avremmo letto al massimo la riga del risultato.

La prima cosa che in questa vicenda abbiamo trovato interessante è che non c’è stata alcuna reazione, segno che l’Italia è un paese comunque più civile rispetto a quelli idealizzati da teste rasate e finti partigiani. Un paese dove l’omosessualità non fa notizia, né come bandiera né come vergogna, è un posto dove si può vivere e la cosa non è scontata, perché in circa 70 nazioni facenti parte dell’ONU l’omosessualità è un crimine, in alcuni casi (posti dove le ministre europee in visita, evidentemente amanti della sottomissione, si mettono il velo) punibile anche con la pena di morte. Il secondo aspetto da considerare è la genuinità della scelta: se a nessuno importa niente della tua sessualità, perché sbandierarla? Per voler diventare il simbolo di qualcosa che vada oltre la pallavolo, a pensare bene. Per guadagnarsi una patente di intoccabilità da parte del giornalisticamente corretto, già in parte garantita dal colore della pelle, a pensare male. Cerchiamo con un po’ di sforzo di pensare bene, visto che durante il recente Mondiale le ragazze sono state brave a non farsi tritare da questo meccanismo.

Il terzo aspetto secondo noi da considerare è il tabù dell’omosessualità femminile nello sport di alto livello, soprattutto nelle discipline di squadra. Poche cifre sono più controverse di quelle sull’omosessualità: diversi sondaggi dicono che non siamo lontani dalle cifre del vecchio rapporto Kinsey (10% della popolazione), ma abbiamo letto di studi che danno percentuali di meno della metà. Alla fine il 5% è una buona approssimazione, almeno per l’Italia: pensando ai nostri compagni di scuola, di lavoro e ai semplici conoscenti siamo in questa zona. Ecco, in uno spogliatoio femminile dove si fa sul serio, non quello della palestra per dimagrire, siamo su livelli molto ma molto più alti. E non vediamo il motivo per non parlarne, anche se chi lo fa con cognizione di causa, come Candace Wiggins aveva detto delle colleghe WNBA, viene isolato. L’omosessualità aiuta nello sport femminile di alto livello, accentuando alcune caratteristiche tradizionalmente maschili, oppure è il contesto ambientale a far prendere una determinata strada? Non c’è un bene o un male nell’essere lesbiche, non è un sondaggio ma solo una curiosità. Così come è curioso che nel una libertà di espressione simile nel calcio sia tuttora difficile: e vai con le foto formato famiglia, con copridivano e gondola.

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