Fra Jugoslavia e Formentera

16 Luglio 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dall’eremo con il tetto di paglia dopo essere scappato dal fiume dove dicono di aver visto un coccodrillo, dopo aver rifiutato l’invito di un amico texano, no, non Ettore Messina, che voleva convincermi che le tigri vere, più di cinquemila, vivono nel suo stato con una stella. Angeli e demoni dell’estate, una poesia di Ryokan, la scoperta di mondi mentali diversi come ci ha obbligato a fare il film sulla sfida a Wimbledon fra Borg e McEnroe. Ci ha aiutato a capire meglio il percorso di Nole Djokovic in quel tempio. Siamo tutti molto superficiali, vediamo Cristiano Ronaldo e la sua ricchezza, ci domandiamo come tutti cosa ne penseranno quelli che guadagnano in un anno quello che lui si porta a casa in una settimana, poi ci dicono che sono tutte menate di torrone: CR7 è un grande affare. Per tutti, persino per gli avversari, per un campionato che nessuno sembrava volere e che adesso fa sbranare quelli che amano complicarti la vita con gli abbonamenti a canali dove si vede pagando. Il demone dell’incasso, dell’affare. Ingenuo pensare che ci sia chi è preoccupato se le aziende che delocalizzano lasciano per strada centinaia di persone, famiglie intere. Gli angeli dei buoni affari ti dicono quello che piace ai carnivori davanti ad un vegetariano: hai il complesso di Bambi.

Gli sport con milioni di appassionati ci hanno stregato per due settimane mentre il mondo dello sport ha scoperto, sempre tardi, che dalla diaspora slava sono nate repubbliche che hanno tagliato con il passato, ma non con i programmi che consentivano a quasi tutti di studiare, fare sport, curarsi. Ora con la Slovenia campione europea del basket, la Croazia finalista del Mondiale calcistico, Djokovic che riporta la Serbia sul muro imperiale di Wimbledon, pensando che i croati sono favoriti nel prossimo campionato europeo di pallanuoto, con Belgrado che accarezza le molte squadre giovanili vincenti, riusciamo a mettere a fuoco quello che era ben chiaro anche ai soliti bulletti italiani convinti che non ci siano scuole e cucine migliori delle nostre: cultura, fame per lavorare quando gli altri vanno a Formentera, scuola, società sportive dove tradizione non vuol dire sedersi e guardare la sala trofei.

Gli sport delle grandi folle, Parigi e Zagabria illuminate a festa, l’Inghilterra, che non sa ancora se vuole davvero andarsene dall’Europa “nemica” del Trump trump, capace di accogliere i suoi calciatori fuori dalle medaglie in Russia chiamandoli addirittura Eroi. Ce la siamo goduta dall’eremo, in attesa che nuoto e atletica celebrino i loro campionati continentali, nella speranza che non ci siano i vuoti visti a Tampere per la giovane atletica dove l’Italia ha vinto il Mondiale con la staffetta 4X400 under 20. Sbrodoloni a parte è stata una giornata che ha fatto diventare rosa quello che c’è fra le parole ti amo e adesso possiamo ripartire. In mezzo il mare e tanta ignoranza ed arroganza. Ancora. Sì, ancora e non lo diciamo perché a Berlino la nostra atletica porterà a casa al massimo 5 medaglie. Lo pensiamo perché ancora riusciamo ad ascoltare le poche voci che arrivano da campi sempre meno curati, da città dove fare atletica e avere società costa davvero tanta fatica e chi ci lavora sa che le porte spalancate ai ricconi vengono sbattute in faccia ai poveracci se un amministratore dello sport cittadino, andandosene, ti dice che ha guadagnato tanti euro, non che ha fatto pari per riempire campi e piscine, aiutando con affitti bassi chi ci fa davvero attività e non aspetta elemosine, ma uguaglianza competitiva.

I francesi questa volta non si sono incazzati, no, hanno festeggiato tutti insieme davanti alla torre: festa arcobaleno e persino la destra ha gioito con Mbappé che era bello da vedere di fianco al vero pallone d’oro del mondiale, l’ingegner Modric scavato in faccia come si addice ai grandi maestri del pensiero anche se imposto con i piedi. Avrete notato che i grandi organizzatori hanno anche fortuna. Mentre Wimbledon sbadigliava davanti ai bombardieri per partite tutte decise col servizio e mai giocate ecco la nazionale di calcio risvegliare chi pensa davvero di averlo inventato, il gioco del calcio.

Mentre al Tour i corridori flanellavano, si fa per dire perché devi pur pedalare, in tappe noiose tutte finite alla baionetta dai velocisti, ecco la nazionale del Didier, che fra l’altro aveva riportato la Juventus in serie A, convincere la Nazione ad unirsi di nuovo. Lasciare il Tour a bollire, per tornarci dopo la fiesta mondiale. Fortuna? Forse.

A proposito di Mondiale e del suo luminoso epilogo, bella musica, tanta gente, tanto entusiasmo, ma alla fine si è visto che gli artisti, i calciatori sono stati considerati, come sempre, soltanto pedine. Oltre mezz’ora sul campo, stanchi sudati, felici, tristi, senza un angolo per meditare, abbracciarsi o piangere davvero. In attesa che fosse tutto pronto per il protocollo con i politici, i capi di stato. Per fortuna ci ha pensato il cielo di Mosca: pioggia a catinelle come direbbe Zalone. Per i giocatori un sollievo, per le autorità un gavettone meritato anche se poi l’ombrello riparava soltanto Putin, ma siamo sicuri che la presidentessa croata e Macron se la siano presa volentieri quella secchiata che sapeva di giustizia.

Torniamo a noi, al quartetto mondiale della under 20, al momento magico sulla tolda dell’Aurora fra Arese e Liquori, quasi coetanei di chi scrive, il campione di Centallo ci deve rispetto per essere nato un mese dopo in quel 1944 dove tutto era guerra, cosa che sembra rimpianta da chi vuole di nuovo frontiere, e dazi, talleri e reticolati. In quella festa milanese c’era un “ragazzo” di 84 anni, Franco Sar principe di Sardegna, azzurro del decathlon ai Giochi di Roma 1960, che ha detto una cosa che dovrebbe far suonare qualche campanello nella testa di chi dirige: “Trovo bellissimo andare ancora al campo, dando una mano a chi ne ha bisogno, cercando di individuare il talento in giovanissimi che stanno ancora soltanto giocando. Poterli aiutare con un consiglio, mostrando un esercizio, è la cosa più bella: il reclutamento cercando negli occhi dei ragazzi quello sguardo che non trovi fuori da un campo sportivo”.

L’atletica non è guarita, così come il basket non può dire di stare bene soltanto per il mondiale delle ragazze nel tre contro tre che sarà sport olimpico nella festa universale dove fra poco entreranno tutti, dai campioni di freccette a quelli dell’orientamento, tutti bravissimi, ma bisognerebbe almeno distinguere fra sport universali e il resto.

Per chiudere con il basket che, secondo qualcuno, sarebbe il nostro unico giardino anche se lo sport lo abbiamo vissuto ad ogni livello, dalla umida sala col tatami dell’Apef, al baseball, dallo sci, al rugby, dal nuoto e dai settebello del tempo al pallone preso a calci o tirato e schiacciato con le mani. Dunque basketlandia nel letargo estivo piangendo la scomparsa di Alberto Mottini, classe 1959, un buon giocatore della grande scuola varesina, un uomo per bene come ne abbiamo incontrati pochi viaggiando così tanto.

Milano e la sua giusta sete di grande Europa. Era ora, diranno i maligni e la servitù che da dieci anni si mette lo stesso profumo di Giò. Tanti acquisti, qualche doppione giustificato dalla stagione lunga, spese appropriate per un colosso anche se poi il record d’ingaggio per James, siamo vicini ai 2 milioni di dollari, ci è stato presentato come un capolavoro di sana gestione, di salario superiore per motivi soltanto superiori. Perché arrampicarsi su questi specchi? L’obiettivo non può essere il 29esimo scudetto, deve essere la finale di eurolega a Vitoria anche se ci dicono che andrebbe bene pure il playoff ad otto. Come no? Ma se fai trenta e per stare nei sei italiani ti tieni pure il Fontecchio (deludente scelta di un talento che ha bisogno assoluto di stare in campo non soltanto di fare buoni allenamenti con Pianigiani, almeno dicono che siano buonissimi allenamenti), insomma se prendi sei uomini nuovi e ne cerchi un settimo allora puoi dire che l’asticella da saltare è quella finale. Andasse male? Nello sport succede, ma non fingiamoci trappisti avendo la vocazione di chi stava alla corte del re Sole e compra di tutto pur di compiacere il maestro giardiniere e il Vattel delle cucine.

Gli unici che stanno facendo una squadra diversa e forse competitiva anche con Milano, avvalendosi del magistero di Larry Brown, sembrano quelli di Torino, la Fiat nona ma soltanto la giardiniera in 500, dove è arrivato anche un nipote di Bob McAdoo, dove per lavorare col santone ha deciso di ricominciare persino Delfino. Le altre stanno quasi tutte a guardare. Passi secondo la gamba, dei Pollicino saggi davanti al grande Orco. Per ora la realtà è questa.

Share this article