Cosa dicono le maglie della Premier League

17 Maggio 2017 di Indiscreto

Guardiamo così tante partite che alla fine non ci ricordiamo nemmeno delle maglie delle squadre (spesso è un bene, per quanto sono brutte e slegate dalla tradizione) né tantomeno dello sponsor, però ci ha colpito che mezza Premier League abbia sulla maglia il nome di un bookmaker. Statistica fatta ad occhio, che umilmente (questo sì che è giornalismo di inchiesta) abbiamo verificato sui siti delle squadre. Questo l’elenco di bookmaker e/o casino online che compaiono sulle maglie dei club del campionato più seguito al mondo, appena vinto dal Chelsea di Conte: Mansion (che gestisce casino.com, sulle maglie di Bournemouth e Crystal Palace), Dafabet (Burnley e Sunderland), SportPesa (Hull City), Bet365 (Stoke City), BetEast (Swansea City), Betway (West Ham United), 138.com (Watford), UK-K8 (West Bromwich Albion).

In altre parole, dieci squadre su venti sono sponsorizzate da aziende che basano gran parte dei loro guadagni sulle scommesse, con i grandi volumi di giocate che vengono ovviamente prodotti non dalla squadre citate ma dalle ‘altre’: Manchester United, Liverpool, Manchester City, Chelsea, Arsenal, Tottenham… Visto che giocare per perdere è più facile che giocare per vincere, la situazione è come minimo da tenere sotto osservazione. Vediamo innanzitutto il peso di queste sponsorizzazioni: quella che produce più reddito è Betway (sede legale a Malta) con il West Ham, l’equivalente di 7 milioni di euro a stagione, mentre quella che ne produce di meno è 138.com (sede legale in Cina) con il Watford con circa 1,2. Stiamo insomma parlando del nulla, paragonato ai 62,5 milioni che la Chevrolet dà al Manchester United o ai 47 che Yokohama dà al Chelsea, ma rapportando tutto alla realtà italiana la situazione cambia perché la media di incassi da sponsorizzazioni di maglia in serie A (tenendo dentro quindi anche Juventus, Inter, Milan, eccetera) è di 3,6 milioni a squadra, quindi meno della media di quanto prende questa Premier League di fascia bassa dai bookmaker. E molto meno delle media della Premier League che è di 13.

Tornando ai bookmaker-sponsor, discorso che da giocatori ci è caro perché possiamo scommettere male (e perdere) ma dobbiamo sempre pensare che le partite siano credibili, vale il solito principio: il bookmaker è il primo interessato alla credibilità delle partite, a lui interessa soltanto ripartire il gioco e fare volumi visto che l’aggio del banco nel medio periodo lavora sempre per lui. I tarocchi, quando ci sono (e non mettiamo la mano sul fuoco per nessun campionato, nemmeno per la Premier League), sono nel 99% dei casi ispirati e governati da sindacati di scommettitori. La considerazione da fare sui bookmaker-sponsor è secondo noi un’altra: nella vecchia Europa l’industria sta quasi totalmente sparendo, visto che nessuna azienda tradizionale è in grado di mettere qualche milione per uno dei campionati più televisti del mondo. Dei 20 sponsor di maglia ce ne sono infatti soltanto 4 con sede legale nel Regno Unito e di questi nessuno produce qualcosa di concreto. Insomma, la Premier League non si deve preoccupare e gli scommettitori nemmeno, ma i cittadini britannici forse sì.

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