Il bianco e nero di Ida

1 Aprile 2014 di Stefano Olivari

Ida, di Pawel Pawlikoski, è un film polacco in bianco e nero ambientato negli anni Sessanta, con attori sconosciuti ai più e una storia che potremmo sintetizzare in questo modo, più bulgaro che polacco: una novizia pochi giorni prima di prendere i voti incontra la zia e insieme fanno un viaggio alla ricerca delle radici della loro famiglia, di origine ebrea, in mezzo a dialoghi scarni e paesaggi rurali. Deprimente? Nonostante queste cattive carte in mano, in un’ottica di marketing, che nella serata sbagliata farebbero rimpiangere Si ringrazia la regione Puglia per averci fornito i milanesi (capolavoro di Mariano Laurenti che rende giustizia al primato di Giorgio Porcaro nell’invenzione del Terrunciello), il film è di una potenza incredibile. Il passato familiare che si cerca di ricostruire è quello della Seconda Guerra Mondiale, quando una famiglia ebrea polacca già di suo malvista dai polacchi ‘di base’ si trova a fare i conti con l’invasore nazista (quello che il politicamente corretto sta resuscitando nel 2014, strangolando la classe media). Wanda, la zia (interpretata da Agata Kulesza), lascia il resto della famiglia (compresa la piccola Anna, la futura novizia) al paese, confidando nel buon cuore dei vicini di casa, per combattere nella resistenza polacca. Solo che il cuore dei vicini di casa quasi mai è buono, in questo caso non per questioni di millesimi o di infiltrazioni nei box. Finita la guerra, Wanda diventerà un importante membro del partito comunista e un alto magistrato. E in questa veste nel 1962 (il film è girato in formato 4:3, oltre che in bianco e nero, come se davvero fosse del 1962) reicontrerà la nipote (attrice Agata Trzebukhowska), rimossa dalla sua mente come il resto della famiglia (smascherata dalla brava gente e poi sterminata, con l’eccezione di Anna, poi affidata ad un convento). Non spoileriamo oltre, limitandoci a dire che questo film, presentato all’ultimo festival di Toronto, è tutt’altro che intellettualoide. Pawlikowski negli anni scorsi ha lavorato a pellicole commerciali, anche in Inghilterra, mentre in patria la Kulesza ha vinto l’edizione locale di Ballando con le stelle. Ida può essere competitivo con i migliori film del genere on the road. Il contrasto fra la vitalità e l’assenza di scrupoli, entrambe forzate, della zia, e l’introversione della nipote è reso benissimo, così come il parallelo fra l’oppressività della vita in convento con la pochezza di stimoli della vita fuori. Non è una storia manichea e i percorsi di conversione non sono a senso unico. Non è nemmeno l’ennesima storia di ebrei perseguitati, ma una riflessione laica sul passato di ognuno di noi. Non gli si può sfuggire, nella migliore delle ipotesi siamo il suo prodotto e nella peggiore la sua vittima.

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