Moggi globale

24 Novembre 2008 di Pippo Russo

Nella sua prima vita, quando all’inizio degli anni Ottanta era soltanto un giornalista sportivo del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, amava dire che ogni quattro o cinque anni bisognerebbe passare da un giornale all’altro per trovare nuovi stimoli. E in effetti Pinhas Zahavi, al secolo “Pini”, fece in tempo a scrivere anche per l’Hadashot prima di cambiare un’altra volta. Accadde alla fine degli anni Ottanta, e stavolta il mutamento fu più radicale. Perché Pini Zahavi decise di cambiare mestiere e vita. E avviò il cammino personale che l’avrebbe portato a essere uno degli uomini più potenti del calcio globale.
Dire ch’egli sia un agente calcistico sarebbe come provare a racchiudere in una sola etichetta figure inafferrabili come quella di Cagliostro. Forse l’etichetta più corretta è quella di chi l’ha definito il principale broker di affari calcistici globali. La sua mediazione, infatti, è stata determinate per farne andare in porto alcuni fra i più importanti del passato recente. Specie in Inghilterra, a cominciare da quello che ha determinato una mutazione genetica nella Football Economy mondiale: l’acquisto del Chelsea da parte di Roman Abramovich. “Pini builds Roman Empire” titolò nel giugno del 2003 il Times usando un efficace gioco di parole. Fu infatti grazie alla mediazione del broker israeliano che l’ex oligarca russo acquistò il Chelsea per 60 milioni di sterline dallo spregiudicato Ken Bates (il quale, avendo acquistato pochi anni prima i Blues in piena crisi al prezzo di una sterlina, realizzò così la più grande plusvalenza nella storia del calcio). E fu ancora lui a condurre quasi in prima persona la campagna-acquisti da 60 milioni di sterline (fra gli altri, a Stamford Bridge, arrivarono Veron, Mutu, Geremi) attraverso la quale Abramovich inviò nell’estate del 2003 un messaggio di strapotenza all’intero calcio europeo. Pare che di recente i rapporti fra i due si siano raffreddati. La causa è venuta dal licenziamento di Avraham Grant, il sostituto di José Mourinho, avvenuto alla fine della scorsa stagione dietro pagamento di una modica liquidazione da 6.5 milioni di euro. In quell’occasione Zahavi ebbe a dire che a motivare il licenziamento di Grant, suo amico e connazionale, fossero stati motivi legati a atteggiamenti di antisemitismo. Una sciocchezza, come spesso capita di dirne al superagente. Come quella che nel 2007 lo portò a dichiarare, durante una visita a Tel Aviv, che la causa del cattivo andamento tenuto dalla nazionale inglese al mondiale tedesco del 2006 fosse la gelosia dei compagni di squadra verso Beckham, e che la scelta del nuovo CT Steve McCLaren di rinunciare a convocare lo Spice Boy avesse riportato ordine fra i Bianchi. Con quelle parole Zahavi intendeva difendere l’operato del suo amico Sven Goran Eriksson, tecnico alla guida dell’infausta spedizione inglese in Germania, e soprattutto prendersela con Beckham, che ai suoi occhi è uno sterminato business sul quale non può esercitare controllo alcuno; ma purtroppo quelle parole gli tornarono addosso a boomerang, poiché qualche mese dopo McCLaren avrebbe firmato una delle più ingloriose eliminazioni nella storia della nazionale inglese: quella dai recenti Europei in Austria e Svizzera.
Comunque sia, e sproloqui a parte, la connection tra Zahavi e la comunità degli ex oligarchi russi rifugiati a Londra rimane solida. Il suo nome circolò ai tempi in cui il misterioso fondo di investimento MSI (Media Sports Investment, società con sede legale alle Isole Cayman), presieduto da un altro suo caro amico, l’anglo-iraniano Kia Joorabchian, acquistò il Corinthians per farne una sorta di club di transito per giocatori da comprare e rivendere incassando plusvalenze. Pochi mesi prima la MSI aveva provato a comprare il West Ham, poi finito nelle mani degli islandesi nemmeno immaginando d’esser passato dalla padella alla brace. Le inchieste delle autorità brasiliane sul misterioso passaggio di proprietà del Corinthians giunsero a accertare un legame fra la MSI e gli oligarchi russi Abramovich e Berezovski. Si parlò di riciclaggio di capitali realizzato attraverso la compravendita di calciatori. Al momento l’inchiesta è ferma alla richiesta di rogatorie internazionali emesse dal Tribunale di San Paolo, che mai otterrà risposta. Ma è soprattutto con la famiglia Gaydamak che Zahavi intrattiene i rapporti più stretti. Il padre, Arkady, è un miliardario franco-russo d’origine ebraica riparato in Israele, dove ha avviato un corposo sistema di attività e ha acquistato il club calcistico del Beitar, noto per avere i tifosi più a destra del paese; il figlio Alexandre ha acquistato il Portsmouth nel 2007, grazie alla mediazione, manco a dirlo, di Zahavi. Adesso il Portsmouth è in vendita, e lo stesso Zahavi si sta facendo intermediario per conto di un gruppo sudafricano non ancora meglio definito. Sullo sfondo c’è l’affare riguardate la costruzione del nuovo stadio dei Pompeys, un affare per chiunque riuscirà a gestirlo.
Un affare lo sarà certamente per Zahavi, che comunque vada intascherà una percentuale per il disturbo. In questo, Pini è sempre stato un mago. Detiene il record della più alta commissione incassata sulla compravendita di un giocatore. Avvenne in occasione del passaggio del nigeriano Yakubu dal Middlesbrough al Portsmouth, nel 2005: sui 7.5 milioni di sterline che costituirono la valutazione del cartellino del giocatore, Zahavi ne incassò 3. Adesso il nigeriano gioca all’Everton, e cambia squadra in media ogni due anni. Il che costituisce un movimento continuo di giocatori sufficiente a mettere in allarme le autorità inglesi. Non soltanto quelle calcistiche. L’inchiesta commissionata dalla Premier League nel 2006 a Lord John Stevens, l’ex capo della polizia che condusse anche l’inchiesta parlamentare sulla morte di Lady Diana, sollevò il coperchio su un mondo la cui corruzione ha raggiunto limiti allarmanti. In particolare, Lord Stevens stigmatizzò la mancata collaborazione degli agenti dei calciatori, mettendo Zahavi in testa alla lista. In quell’occasione il signor Pini la prese malissimo. Pretese scuse pubbliche, ma si guardò bene dall’accettare le richieste di interrogatorio rivendicando il fatto che la sede legale della sua agenzia è in Israele, e dunque fuori dalla giurisdizione dell’iper-garantista sistema giudiziario britannico. Oggi che il Rapporto Stevens è stato praticamente insabbiato, Zahavi continua a realizzare affari, indisturbato. Ma ogni tanto anche a lui gira storta. E per non smentire l’adagio secondo cui nemo propheta in patria, giusto in Israele egli ha dovuto affrontare i dissensi più accesi. Tutta colpa della sua ambizione di diventare (come se non bastasse il resto) imprenditore della comunicazione. La sua Charlton, una media company specializzata nella compravendita di diritti sui grandi eventi sportivi, ha imposto in Israele la trasmissione criptata a pagamento dei Mondiali 2006 e degli Europei 2008 di calcio. Da allora le masse di appassionati israeliani lo detestano. Può succedere, a essere troppo avidi.
Pippo Russo
http://www.myspace.com/pipporusso
(per gentile concessione dell’autore, fonte: il Riformista di domenica 23 novembre 2008)

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