Luciano Gigliotti, la maratona della vita

29 Agosto 2014 di Stefano Olivari

Mi chiamavano Professor Fatica, il libro che Luciano Gigliotti ha scritto insieme al giornalista Claudio Rinaldi, è molto più dell’autobiografia di un pur importantissimo allenatore di atletica. Noto per avere guidato all’oro olimpico nella maratona Gelindo Bordin a Seul 1988 e Stefano Baldini ad Atene 2004, ma anche per essere stato guida tecnica di altri maratoneti (da Maria Guida, oro agli Europei 2002, all’attuale direttore di Runner’s World Marco Marchei: quarto nel 1978 a New York, due partecipazioni olimpiche nel 1980 e nel 1984, padre della pattinatrice Valentina, con l’highlight di essere stato nostro professore di educazione fisica alle medie) e di tanti mezzofondisti: su tutti Carlo Grippo, favoloso ottocentista ma troppo intelligente per dedicarsi solo allo sport, l’indimenticabile miler Vittorio Fontanella e Alessandro Lambruschini, vincitore nelle siepi di medaglie di enorme spessore tecnico e anche in seguito suo genero.

Ma vorremmo parlare del libro e non di Gigliotti, stra-conosciuto da chiunque segua l’atletica… libro la cui parte più emozionante non è quella riguardante i trionfi dei suoi atleti, ma il racconto di come sia nata la passione per lo sport in generale (Gigliotti è fanatico di rugby, fra lealtre cose) in un bambino orfano di padre e costretto ad emigrare a Modena dalla natìa Aurisina (Trieste), in seguito alla caccia all’italiano, non importa se fascista, militare o solo italiano, in cui sloveni e comunisti italiani si esibirono nella parte finale (e anche dopo) della guerra. Il padre di Gigliotti finisce in una foiba, insieme a migliaia di altri, ma la madre con i tre figli riesce a scappare in tempo. Il collegio e un’etica che anche in quei tempi viene definita ‘di altri tempi’ danno a Gigliotti un’impronta definitiva: discreto quattrocentista ma non certo da maglia azzurra, diventa professore di educazione fisica e anima del gruppo sportivo Carabinieri di Bologna. Da lì parte la sua scalata verso i vertici del settore tecnico della FIDAL ma soprattutto il suo perfezionamento come studioso di mezzofondo e maratona, con idee riprese da colleghi con a disposizione materiale umano migliore.

   Gigliotti, al contrario di molti (troppi) tecnici, traccia una linea di demarcazione netta fra professionisti e amatori. Per lui non deve esistere chi tira a campare, l’atletica di vertice deve essere un impegno costante anche in termini di sacrifici familiari: dai raduni quasi permanenti a Tirrenia agli stage in tutto il mondo, è impensabile migliorare rimanendo nel proprio orticello e confrontandosi con chi è meno bravo. Dall’altro lato nel libro invita con parole chiare l’amatore a non guardare il cronometro, se non per avere un riferimento. Correre è bellissimo, ribadisce Gigliotti, ma non può essere un secondo lavoro e quindi l’amatore quando è stanco ha il diritto, ma soprattutto il dovere, di rallentare o fermarsi. Discorso che porta diritti al doping: l’ottantenne guru (classe 1934) dell’atletica italiana è per la squalifica a vita di chi viene trovato a barare anche una sola volta, per non creare equivoci e la tentazione di ‘provarci’. E anche per non alimentare l’ideologia del ‘tanto senza aiuti non si vince’ che paradossalmente è portata avanti anche da molti paladini dell’antidoping, Donati in testa.

Anche chi pensa di sapere tutto godrà leggendo i tanti aneddoti divertenti, pur edulcorati, riguardanti anni di vita in comune con atleti dalle personalità diversissime. Quanto alla parte tecnica, le teorie di Gigliotti sono ben conosciute. Lui comunque nel libro le sintetizza con termini divulgativi e le tabelle (come esempio…) di allenamento di Bordin e Baldini. Con un’avvertenza importantissima, che tutti gli atleti tentati dall’allungare la distanza dovrebbero leggere: molte caratteristiche organiche e fisiche del mezzofondista da pista sono simili a quelle del maratoneta, ma la ciclizzazione dell’allenamento, fra lavori sulla resistenza e lavori muscolari, è ormai quasi opposta. Non siamo più ai tempi di Zatopek, che solo perché è un fenomeno dopo aver vinto i 5mila e 10mila olimpici a Helsinki 1952 va a fare la maratona quasi per scherzo e la vince, ma in quelli della super-specializzazione. In Italia non mancano cultura e tutto sommato nemmeno le mitiche ‘strutture’, ma tante altre cose a partire da una scuola dell’obbligo che faccia assimilare un’idea di sport diversa dal tremendo ‘A che squadra tieni?’. Senza grandi riforme e con sole due ore alla settimana a dispozione, ad intere generazioni sono bastati professori di educazione fisica come Luciano Gigliotti. 

Mi chiamavano Professor Fatica – Vita segreti e tabelle del più grande allenatore di maratoneti, di Luciano Gigliotti con Claudio Rinaldi (Prefazione di Enrico Arcelli, Ediciclo editore, 200 pagine a 16 euro)

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