Il vero mito del sorteggio arbitrale

13 Febbraio 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

La linea di difesa dei ladri è di solito affermare che tutti rubino, o almeno insinuare il dubbio: per questo da qualche mese sul web e nel mondo calcistico reale nel club del fango è stato trascinato anche il Verona con il suo scudetto 1984-85. Questa la tesi di fondo: non è vero che in quella stagione ci fu il sorteggio arbitrale, come molti ricordano, ma una sorta di sorteggio pilotatissimo al punto da far sembrare pulita la gestione di BergamoPairetto. Quindi il Verona avrebbe vinto un campionato con lo stesso sistema di designazione arbitrale dell’era di Moggiopoli, quindi il suo scudetto avrebbe esattamente lo stesso valore di quelli della Juventus di Capello. Logica spericolata, ma soprattutto presupposti falsi. Le fasce previste all’inizio erano infatti tre, per le 18 partite di A e B domenicali (la A aveva 16 squadre e la B 20), per poi diventare sei: ognuna con quattro arbitri e la medesima possibilità di essere ‘pescati’ per ognuna delle tre partite. Quindi integrale in senso puro di sicuro no, ma con fasce prive di limiti al sorteggio di un arbitro al loro interno sicuramente sì: integrale all’interno delle fasce. La differenza con le fasce di Bergamo-Pairetto? Una fondamentale: gli arbitri all’interno delle fasce potevano davvero finire in qualsiasi partita, cosa che sotto la gestione del dinamico due raramente poteva avvenire, usando i semplici escamotage della preclusione geografica (esempio: se nella fascia di Milan-Roma mettevi la maggior parte di arbitri di sezioni lombarde era chiaro che la designazione era fatta), del limite di partite per singola squadra (mettendo in una fascia un arbitro che aveva già diretto sei volte l’Inter questi non avrebbe potuto guidare l’Inter), della consecutività (mai due giornate consecutive lo stesso arbitro alla stessa squadra). Incrociando questi parametri per le due squadre nell’era più sporca del nostro calcio era facilissimo indovinare gli arbitri della singola partita (spesso solo due erano in reale ballottaggio): non era necessario essere indovini o avere informazioni confidenziali, tanto è vero che i giornalisti specializzati (Antonello Capone e Angelo Pesciaroli su tutti) intuivano e scrivevano in anticipo i ‘sorteggi’ o perlomeno i due nomi in ballottaggio. In questo senso il Moggi che si vantava di conoscere i nomi degli arbitri prima di tutti non faceva niente di sporco: la semplice lettura delle griglie e la conoscenza delle preclusioni (anche di quelle provvisorie, tipo un arbitro di una sezione che però aveva interessi di lavoro in un’altra sezione) rendeva il sorteggio quasi una formalità, senza bisogno di taroccarlo in occasione della cerimonia vera e propria. Obiezione: i quattro arbitri per griglia di 3 partite del 1984-1985 avrebbero potuto essere tutti e 4 graditi alla ‘grande’ presente in quelle tre partite. Vero. Ma è evidente che questo dipendeva dall’onestà di chi componeva le griglie stesse, nessuna legge può prescindere da chi la deve far rispettare. E comunque, anche a pensare male, il meccanismo della stagione veronese imponeva a chi volesse controllare il campionato di controllare quasi tutti gli arbitri e non solo quelli della scuderia. Concludendo: il sorteggio di quel mitico anno non era ‘integrale’, nel senso di 18 arbitri possibili per ognuna delle 18 partite, ma era un sorteggio vero. La storia del meccanismo di designazione è comunque molto interessante, anche perché creata non da grandi strategie ma spesso da aggiustamenti furbi o cervellotici. Nostra opinione personale: il miglior sistema fu quello della stagione 1998-99 (scudetto al Milan di Zaccheroni davanti alla Lazio), di fatto imposto dallo scandalo Ceccarini. Due sorteggi quasi integrali, uno per la A e uno per la B: molti vantaggi per la credibilità pur con il rischio concreto di creare una lista di arbitri ‘cattivi’ da far fischiare nei cadetti a vita. Purtroppo il sistema fu abbandonato e passando attraverso cento altri metodi siamo tornati all’era del designatore-fenomeno con potere di vita o di morte: una cosa che non tranquillizza la classe media degli arbitri, consapevole che l’errore ‘contro’ una grande porta all’immediato linciaggio mediatico di Collina ed alla loro conseguente quarantena.
stefano@indiscreto.it
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