Vuvuzela ad Assago

18 Giugno 2010 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Il ritorno dei diecimila, il grigiore di Bucchi, l’alba di Artest e il saluto a D’Este.

Oscar Eleni dal bagno senza sapone del Forum di Assago dove ci ha costretto a meditare il Cappelli panterone senese che prima di gara tre aveva voluto un pronostico da vendere insieme alle vuvuzela di plastica e ai tarocchi che piacciono tanto a chi poi si diverte se azzardi e sbagli alla grande. La ragione diceva Siena, senza se e senza ma, ma poi vedendo quei diecimila in tribuna, sentendo Galliani parlare ancora di basket, guardando Armani bello teso con la corte saltellante al suo fianco, spiando Meneghin che anche da presidente federale si diverte ancora a fare scherzi, dare pizzicotti, abbiamo voluto scegliere Milano sicuri di prenderci il titolo di bestie dell’anno per la platea dei quattro cantoni dove a Siena ci si incontra, ci si saluta schivando il teatro dei Rozzi, l’accademia degli intronati, dove molti, in periodo di Palio, prove e affini, se le danno pure come confessa il Cappelli ingelosito perché abbiamo parlato del barabaresco dell’Aquila, la contrada nemica delle pantere, il Moretti che un tempo saltava ostacoli in piazza di Siena, uno simpatico che ci ha dato cibo eccellente ed un vino splendido alla Taverna del Capitano dove gli operati del gruppo giornalisti in pensione o pensionabili hanno dimenticato tutto, persino la chemio come diceva Gianni De Cleva che intanto ordinava dieci chili di carne chianina.
Avevamo anche deciso che sarebbe stato Monroe l’uomo chiave. Pensieri vagabondi, nella speranza che alle poste Armani avessero cambiato almeno l’arredamento mentale dell’ufficio del capo allenatore. Niente. Tre sconfitte senza appello, senza mai tentare almeno una sorpresa. Che tipo di sorpresa ti aspetti o balordo diranno i difensori della lunga linea grigia sulla quale camminano tanti allenatori italiani discreti, ma tutti abbastanza uguali e prevedibili, quelli che ti spiegano come sia impossibile mescolare le carte, fare quattro salti in padella, mettersi ad urlare alla luna, buffoni della sorte, ma almeno con l’idea di non passare per una squadra qualunque. Invece l’Armani ha voluto essere proprio come è stata costruita, cioè nata per non emozionare, mai. La squadra è questo e siamo ancora sbalorditi per aver visto la bandiera bianca ancora prima che andasse sul campo. C’era atmosfera, bastava prendere il vento e diventare feroci sul primo contatto, buttando sul tavolo il poco rimasto da una stagione che ha stancato l’Olimpia per i suoi fallimenti, non certo per i suoi difficili successi.
Abbiamo deciso che era meglio fare l’alba con la finale NBA per dimenticare Milano, la Treviso che si frega le mani perchè ad Istanbul offrono una barca piena d’oro a Jasmin Repesa, aspettando di capire come Roma rovinerà la prossima stagione, ascoltando i tamburi sul mercatino dell’usato, sulla rivolta della A dilettanti dove la nuova formula che per l’anno prossimo prevede troppe retrocessioni ha spinto presidenti mai illuminati a scegliere la strada del campionato in maschera: pagare poco l’allenatore, prendere giocatori dalle giovanili, se ci sono, o ragazzi in giro per le strade e aspettare il momento per fare una squadra da vera promozione. Ma anche l’alba era tragica, perché ci hanno fatto sapere che in gara sette, che in una sfida Lakers-Celtics il pallone, ad un certo punto, diventa come granito. Accidenti e dire che pensavamo tutti fosse una piuma nelle mani di quei fenomeni, del Bryant eletto MVP dei play-off anche se per il suo quinto titolo ha avuto bisogno di avere intorno una squadra, Artest e la sua ferocia, cecchino e martellatore. Per battere Boston gli sono serviti Gasol, il genio di Jackson, e anche la fortuna di trovare i Celtics senza Perkins perché la rimonta sarebbe stata davvero più dura dopo aver visto anche un meno 13 e la dentatura di Nicholson quando gli è cascato addosso Rasheed Wallace.
Niente ci ha consolato, né la promozione della Fortitudo con il tiro di Malaventura che ricordava lo scudetto di Douglas, perché vorremmo che la passione di Forlì trovasse finalmente soddifazione e quattrini, e neppure l’idea di poter salutare Pierluigi D’Este a fine carriera perché anche nell’ultima gara diretta si è trovato in compagnia del pregiudizio e forse dei compagni meno adatti. Lo salutiamo come amico del basket, come personaggio che farà ancora cose importanti aspettando di sapere se sarà davvero il grande Zancanea Zancanella a fare il commissario dei poveri fischietti senza padre nè madre, con mogli infedeli, un becero modo di non aiutarli se poi convincono persino Armani che è colpa loro se Siena vede terre nuove e Milano terre aride. A Milano la raccontano sempre come vogliono e fanno pasare una squadra del torneo propaganda come una delle meraviglie in un settore giovanile che non ha quasi avuto notizie da questo progetto un po’ fumoso.
(3 – continua, purtroppo)
Oscar Eleni

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