Cinema
Vita Smeralda, l’estate degli Anni Zero
Stefano Olivari 12/10/2022
Qualcuno rimpiangerà gli anni Zero? Probabilmente sì, così noi astuti ci portiamo avanti con la recensione di Vita Smeralda, uno dei sei film di Jerry Calà come regista. Che qui come per i Novanta nel celeberrimo Ragazzi della notte, di cui abbiamo già scritto, cerca di catturare lo spirito del tempo e senz’altro ci riesce. Certo è un brutto film, che però abbiamo rivisto più volte in omaggio al mare, alle vacanze, all’estate, alla giovinezza, ad altre cose (anzi, a un’altra cosa) e allo stesso Jerry, che qui si autoconfina nella parte di uno che deve affittare la barca a un ricco produttore russo. Molta malinconia nel vedere come comandante della barca un Guido Nicheli alla sua ultima apparizione cinematografica, pochi mesi prima di morire, con tanto di See you later.
La trama è semplice: tre ragazze di bassa estrazione sociale, interpretate da Eleonora Pedron (Miss Italia tre anni prima), Benedetta Valanzano e una meravigliosa Francesca Cavallin, in vacanza in Sardegna con amici e fidanzati, si stancano di stare da sfigate in campeggio e cercano di inserirsi nella vita notturna di Porto Cervo, per vivere un sogno almeno d’estate. E così partendo da un gruppo di napoletani che vivono in duecento in tre locali e dalla conoscenza di una semi-escort (Elena Santarelli) fanno un presunto upgrade ed arrivano al livello di quelli che pagano-pagherebbero i conti. Anche se ovviamente il bel ragazzo ricco con il maglioncino sulle spalle (Davide Silvestri) è gay, il calciatore (il terrificante Alfieri di Campioni) è un tamarro, il broker (Fabio Fulco) è un truffatore, eccetera.
La storia è esile, come è giusto che sia, ma Calà è bravo nel mostrare il vippame televisivo dell’epoca, con brevi ma significativi camei: Costantino Vitagliano e Daniele Interrante, divinità di ogni tronista, Lele Mora che del decennio è stato per certi versi l’ideologo, un fastidiosissimo Ringo, Ana Laura Ribas, Raffaella Zardo, Briatore che dice due battute (anche perché alcune scene sono girate al Billionaire) e così via. Si arriva fino al punto, davvero di non ritorno, di considerare vip Amedeo Goria e Demo Morselli. Una fotografia perfetta dell’immaginario dell’epoca, che Calà ci regala con lo spirito del cronista un po’ complice, certo non quello del critico e del resto noi che amiamo questi film non è che vogliamo ascoltare la moralina. Meglio massime come quella che esce dalla bocca di Lory Del Santo: “Con me gli uomini prima vengono e poi vanno“.
Il limite di Vita Smeralda non è ideologico, ma che le parti teoricamente comiche non facciano ridere e che non ci si appassioni davvero ad alcun personaggio: non ci sono insomma quella magia, quel guizzo, quel calore, che spesso si trovano in opere di questo genere o per lo meno in alcune loro scene. Grande l’affiatamento di Calà con Umberto Smaila (c’è anche il figlio Rudy, con lo schema del videoreporter), con il quale canta una memorabile versione di Kalinka in onore del russo, già nel 2005 l’unico di cui si potesse parlare male. Forzatissima la parte della figlia avuta da Calà da una vecchia fiamma indiana, amaro ma molto forte il finale, a ricordarci che le classi sociali esistono e che nemmeno le vacanze le annullano.
Molti critici di questo film hanno detto che è un’imitazione mal riuscita di Sapore di mare, ma in realtà nel capolavoro dei Vanzina era centrale la nostalgia mentre Vita Smeralda è purissimo presente del 2005. La Milano del triangolo Hollywood-Tocqueville-Casablanca trasportata in Costa Smeralda, con location che accendono il dibattito fra i suoi cultori: perché il Billionaire è a Porto Cervo, il primo Smaila’s era a Poltu Quatu e tante cose non tornano. Ma diciamo la verità: quel decennio lo troviamo molto triste, molto inutile (decisamente più interessanti gli anni Dieci, se proprio non vogliamo tornare ai Novanta) e di passaggio, ed è anche per questo che Vita Smeralda nemmeno alla decima visione è il nostro film. Però fra un secolo sarà studiato.
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