Vera CSI nella vera Miami

26 Settembre 2007 di Roberto Gotta

1. Va bene, non è la stessa cosa, come azione, intrigo, sanguinolenza. Ma, se esiste CSI: Miami, per una volta, stavolta, esisterà anche AMERICAN BOWL: Miami. Nel senso che siamo reduci da una settimana proprio nella metropoli della Florida e lì di football ce n’era, e tanto. Sufficiente, appunto, ad occupare un’intera puntata di AB, appuntamento saltato la scorsa settimana perché un buontempone (non ci vengono altre parole, o meglio ci vengono ma non sono pubblicabili) ha deciso di scardinare a calci la porta della nostra stanza d’albergo non più di quattro ore dopo il nostro arrivo e portarsi via il computer. Con un ulteriore sviluppo di cui abbiamo immediatamente apprezzato il lato ironico, visto che a quel punto infuriarsi non serviva più a nulla: influenzati dalla Tv, che riduce certe città a stereotipi, alcuni nostri conoscenti ci avevano chiesto prima della partenza di «salutare quelli di CSI: Miami». Bene, non c’è neppure stato bisogno di andarli a cercare: alle 22.30 di domenica 16 settembre una detective (vera) con maglietta Crime Scene Investigations (sì, con la “s” finale) è entrata nella nostra stanza per prendere eventuali impronte digitali del furfante. Vista la rapidità con la quale abbiamo involontariamente esaudito i desideri dei nostri amici cinefili, chissà cosa sarebbe successo se avessimo scelto di andare dove hanno girato Jurassic Park.
2. Visita all’Orange Bowl, lo storico stadio situato a poca distanza dal centro di Miami. E’ l’ultimo anno di attività: dal 2008 l’università di Miami giocherà le sue partite al Dolphin Stadium, che sorge poco meno di 30 chilometri più a nord e dunque ancora più – diciamo 33 – dal campus di UM. Una mossa piaciuta molto poco a studenti e tifosi ordinari degli Hurricanes, che accusano i vertici del college di avere ceduto alle pressioni dei tifosi vip desiderosi di acquistare palchi privati e di strutture più moderne, quali indubbiamente sono quelle del Dolphin Stadium rispetto all’Orange Bowl, davvero un impianto di altri tempi per struttura, architettura, sapore ed odore, con tanto di piloni delle luci vecchia maniera, come negli stadi inglesi di calcio, ed una forma a ferro di cavallo, con la parte “aperta” dietro la zona di touchdown dalla parte sud. Comprensibile che si voglia passare ad uno stadio più adatto al terzo millennio, ma intristisce davvero il pensiero che l’Orange Bowl, una visione gradita sul lato destro dell’autostrada ogni volta che dall’aeroporto di Miami ci si dirige verso il centro città o le spiagge, venga abbattuto. Va detto che, con gustoso paradosso onomastico, persino uno dei bowl universitari più famosi, chiamato appunto Orange Bowl, ha trasferito la propria sede al Dolphin Stadium dal 1996 (con ritorno temporaneo nel 1999 per contemporaneità con partita di playoff dei Dolphins), ma insomma UM poteva anche restare dov’è: per la partita contro Texas A&M del 20 settembre sono rimasti invenduti quasi 15.000 biglietti sulla capienza di 72.000 circa, ed è da un po’ di tempo che non c’è un tutto esaurito, anche perché gli Hurricanes dopo il titolo NCAA del 2001 (il quinto della loro storia) non hanno più avuto stagioni esaltanti ed hanno ora un nuovo coach, Randy Shannon, incaricato di riportare disciplina (tra le sue mosse, l’abolizione del nome dei giocatori dalle maglie, per sottolineare che conta il college, non il singolo). Ma l’ambiente delle partite è molto buono, e quella sera contro gli Aggies, arrivati con un grande impeto e seguiti da circa 35000 tifosi ma nettamente sconfitti 34-17, è parso per un po’ di tornare ai vecchi tempi, come entusiasmo e elettricità nell’aria. Altro paradosso: al posto dell’Orange Bowl potrebbe sorgere un nuovo stadio per i Marlins di baseball (di cui parliamo tra poco), che sperano in un impianto vicino al centro città per attirare qualche tifoso in più.
3. Tra gli animatori di una serata benefica organizzata dai Dolphins (messi male: 0-3) a metà settembre c’era un giovane disc jockey dal sorriso aperto e dalla gestualità ortodossa per il ruolo. Il suo nome è DJ 1-Tre, e il suo viso ricorda qualcosa, o meglio qualcuno, ma solo abbinandolo al nome (uno-tre, in italiano, ovvero tredici) si arriva alla soluzione: il giovanotto, 19 anni, altri non è che Michael Marino, figlio di Dan, quarterback dei Dolphins dal 1983 al 1999; detentore di tanti record NFL che però stanno cadendo uno alla volta (Brett Favre lo ha uguagliato domenica 6 nei touchdown lanciati, 420). 1-Tre, che ha identificato in “Stronger” di Kanye West il suo brano preferito del momento, si è appassionato all’attività di dj tre anni fa ed è autodidatta. Per ora svolge la sua attività perlopiù in occasioni pubbliche legate ai Dolphins, ed è dunque – dai, è così – “lievemente” favorito dal prestigio del padre. Non risulta peraltro, ed è già qualcosa, che come fanno invece molti figli di papà e raccomandati italiani abbia aggiunto al danno sociale di avere rubato il posto a qualcuno più meritevole il rituale affronto di frasi tipo «il mio cognome mi ha danneggiato, non favorito» oppure «ho fatto tutto da solo, mio padre non ne sapeva niente» (variante aggiuntiva e contraddittoria: «anzi, era contrario»).
4. Al Dolphin Stadium, ma anche in altri tre stadi NFL (Houston, Seattle, Washington), è disponibile per noleggio stagionale a 130 dollari (o partita per partita a 25) un aggeggio chiamato Kangaroo Tv. E’ una sorta di palmare per vedere la televisione, in uso anche nei circuiti NASCAR e in altri ambiti motoristici: nel caso specifico, il Kangaroo contiene la versione In-Stadium, cioè disponibile solo nell’immediata area dell’impianto, dell’intero pacchetto chiamato NFL Sunday Ticket, quello che da noi sarebbe Sky Calcio. Ovvero, la possibilità di vedere in diretta tutte le partite. Uno può servirsene per ascoltare la telecronaca e vedere le statistiche della partita che sta seguendo dagli spalti o per guardarsene una nel parcheggio durante il rito del tailgating, ovvero preparazione e consumazione di pasti, specialmente alla barbecue e alla griglia (come noto, sono due procedimenti ben diversi). Tra l’altro chi è sugli spalti può fare quel che fanno già da tempo i giornalisti con i loro monitor: visto che l’immagine televisiva va in onda 5-6 secondi dopo il reale svolgimento del gioco, immediatamente dopo la fine di ciascuna azione basta girare lo sguardo verso lo schermo per avere non il replay, ma direttamente la “diretta” Tv di quel che si è appena visto sul campo. In media, lo scorso anno, quando il Kangaroo debuttò proprio a Miami e Washington, ne fecero uso circa 2000 spettatori. Meno del previsto, ed è per questo che i prezzi per il 2007 sono stati abbassati.
5. Sabato 15 settembre i Bulls della Northwestern High School, un liceo situato nella zona nordoccidentale di Miami, hanno giocato a Dallas, nello stadio di Southern Methodist, contro la Carroll di Southlake, liceo locale, imbattuto dal… 2001. Era lo scontro tra le migliori due squadre di high school, perlomeno secondo il sistema di valutazione dei quotidiani nazionali, inevitabilmente impreciso dal momento che deve confrontare formazioni che giocano in regioni diverse senza mai incrociarsi. Ha vinto Northwestern 29-21 ed è interessante il dato delle presenze: 31.896 spettatori, compresi 4000 venuti da Miami. Magari non sorprende, visto che il Texas conserva il primato non ufficiale di stato con la maggiore passione per il football di liceo, ma colpisce. Non è peraltro detto che sia un elemento positivo: come già accaduto con lo Scholastic Fantastic Tour della St.Vincent-St.Mary di LeBron James (parliamo di basket) nel 2003, guarda caso organizzato dai medesimi promotori di eventi che hanno messo assieme la NW e la Carroll, l’attenzione mediatica così estrema – si parla di diretta nazionale su ESPN U, il canale dedicato allo sport scolastico – su giocatori che hanno non più di 18 anni è sostanzialmente insana, anche se non fa altro che seguire la richiesta di molti. Northwestern è ora la numero 1 assoluta, sempre in linea

teorica, ma aveva addirittura rischiato di non iniziare neppure la stagione: Rudy Crew, di fatto provveditore agli studi della contea di Dade, aveva considerato l’ipotesi di annullare la stagione dei Bulls dopo che nel settembre 2006 il loro running back più importante, Antwain Easterling (ora già al college a Southern Mississippi), era stato sorpreso a fare sesso in un bagno della scuola con una ragazza del primo anno, dunque 14enne e dunque minorenne. Lo scandalo aveva portato all’uscita del coach Roland Smith e del suo staff, oltre al responsabile del settore sportivo Gregory Killings e addirittura al preside della scuola, Dwight Bernard, accusato di avere cercato di insabbiare la vicenda per timore delle ripercussioni sul piano sportivo. Vicende non edificanti di una scuola situata in una zona di Miami così povera (secondo i parametri americani, ovviamente: 23.000 dollari l’entrata media per famiglia) che la costante sottolineatura del contrasto tra il panorama della NW e quello della Carroll, liceo di un sobborgo ricco (185.000 dollari il dato medio per famiglia) aveva infastidito i giocatori dei Bulls, desiderosi di mostrare che il loro quartiere non era poi l’inferno descritto dai media.
6. Il panorama sportivo di Miami non è mai stato esaltante, peraltro, ed è quasi singolare che la gloria sportiva cittadina maggiore sia oggi la squadra di basket, quando nella stragrande maggioranza delle metropoli americane dotate di franchigie in vari sport pro è quasi sempre quella di football o baseball a tirare la carretta dell’interesse. I Marlins, della MLB, sono addirittura imbarazzanti: nacquero quando la MLB cercò di approfittare dell’enorme numero di residenti di origine ispanico-caraibica, dunque appassionati di baseball per diritto e istinto naturale, ma nonostante i due titoli vinti la squadra non ha mai raccolto una base costante di tifosi, e nelle annate storte come quella attuale lo spettacolo degli spalti vuoti è indecoroso. E’ normale che alle gare contro le franchigie di maggior prestigio, come i Red Sox e quelle di Chicago e New York, i tifosi ospiti siano nettamente in maggioranza, e non solo: ad una recente gara i giornalisti presenti hanno contato poco più di 350 spettatori sugli spalti al primo lancio, mentre persino i giocatori sono così distratti ed annoiati (ma ben pagati) che secondo un reporter del Palm Beach Post per passare il tempo hanno iniziato a scommettere sulla… durata dell’inno nazionale che viene eseguito da un cantante diverso prima di ogni partita.
7. Non c’entra con Miami, ma va detto: Rex Grossman, che in estate pareva avere recuperato rispetto e forma (e lo avevamo segnalato), rischia invece ora il posto, dopo la partenza 1-2 dei Bears e le evidenti difficoltà offensive (e non solo). Si saprà presto se Brian Griese prenderà il posto di Grosman…
8. Deuce McAllister, running back dei New Orleans Saints, si è rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro nella sconfitta di lunedì sera contro Tennessee: i Saints sono ora 0-3 e devono affidarsi al solo Reggie Bush sul gioco di corsa, con il Qb Drew Brees che, causa protezione deteriorata da parte della linea, sta accusando qualche difficoltà. McAllister aveva già perso quasi tutta la stagione nel 2005, infortunandosi all’altro ginocchio dopo cinque partite.
9. Infine, con fastidio avevamo letto nei giorni immediatamente successivi al grave infortunio di Everett, il tight end di Buffalo, le solite articolesse italiane con accuse al football velate di anti-americanismo e la segnalazione di (inesistenti) preoccupazioni in USA sull’aumento (che tale non è stato, nonostante quel che abbiamo scritto ora su McAllister) degli infortuni. Ebbene, ancora maggiore allora la soddisfazione quando Everett è migliorato al punto da poter riprendere a camminare, anche se ancora precariamente. Tié!
10. Nessuna consolazione per la sconfitta ai supplementari al Super Bowl italiano, ma se non altro i Panthers Parma vedono il loro nome in un romanzo importante, l’ultimo di John Grisham, Playing for Pizza. A quanto pare, Grisham era in tribuna al Superbowl di Scandiano del luglio scorso – non ce ne siamo accorti, ma del resto non sappiamo neppure che faccia abbia – e in questo libro ha abbinato due sue passioni, l’Italia e il football. La vicenda è quella di un Qb ex Cleveland Browns che dopo una partita disastrosa è costretto ad abbandonare la NFL e trova un posto nei Panthers, scoprendo poco alla volta il football italiano e la vita nel nostro paese.
11. Penultima annotazione: abbiamo un’ammirazione vigorosa, quasi imbarazzante, per tutti gli sportivi praticanti di alto livello, specialmente – si sarà capito – per quelli che praticano discipline che comportano sacrificio e contatto fisico. Ma se nel parlare di football siamo (involontariamente) retorici e pomposi come chi si sta occupando di rugby in questi giorni facciamo pubblica ammenda.
12. Per finire, chi vuole leggere le cronache delle partite in italiano, ben fatte, e altro, può andare su http://lnx.huddle.org/index.php e scaricare la newsletter settimanale in uscita il martedì. Una bella idea che segue il successo dell’analoga iniziativa creata in occasione della stagione della NFL Europa.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it
http://vecchio23.blogspot.com

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