Veneto libero, giornalisti servi

20 Marzo 2014 di Stefano Olivari

La notizia tenuta più ‘bassa’ delle ultime settimane, in proporzione alla sua importanza per l’Italia e all’importanza data a notizie analoghe negli anni scorsi, è senza dubbio quella sulla ipotetica secessione del Veneto. Chi guarda solo le televisioni mainstream, anche quelle apparentemente più movimentiste (La Sette aspira al pubblico del Movimento Cinque Stelle, con tutta evidenza), non ne ha probabilmente mai sentito parlare se non in termini di folklore o di qualcosa legato alla Lega Nord delle origini. Invece con la Lega delle origini, né tantomeno con quella attuale interessata solo a governicchi locali, quanto sta accadendo nella regione meno mediatizzata del paese (in rapporto alla sua importanza economica) ha in comune solo qualche slogan. I fatti, prima di tutto, che per il momento sono solo voti. Un referendum consultivo, partito domenica scorsa e il cui spoglio inizierà domani pomeriggio, riguardante la volontà dei veneti di staccarsi staccarsi dall’Italia. Non da una ‘Roma’ più o meno metaforica, per formare una altrettanto vaga ‘Padania’, ma proprio dal resto d’Italia per diventare uno stato indipendente. Un referendum consultivo non ha valore legale e non è un referendum ‘vero’, cioè di quelli a cui inutilmente abbiamo partecipato per anni sotto la supervisione dello Stato, ma di sicuro serve come segnale. Dal punto di vista ‘istituzionale’, per usare una parola triste, ha lo stesso valore delle primarie del PD che hanno avuta una copertura che al confronto Kennedy e Nixon 1960 erano sfigati. E finora hanno votato in quasi 700mila, su circa 4 milioni di aventi diritto, nonostante appunto nessun mezzo di informazione importante ne abbia parlato e la stessa Lega (istruttive in questo senso le posizioni equilibristiche di Zaia e Tosi) abbia gestito la questione con imbarazzo, con tutti gli altri partiti ovviamente congiurati del silenzio. Senza riscrivere la storia d’Italia e del Veneto, ci sembra importante evidenziare alcuni punti.

1) Per i nostri editorialisti proni di fronte al finanziere e al palazzinaro di turno (c’è da capirli, spesso sono i loro padroni: ma i ’68 e ’77 dove se li sono messi, allora?), la parola ‘indipendenza’ ha un valore diverso a seconda di chi la usa. Simpatia per la Catalogna (fra l’altro indebitatissima, ci sarebbe davvero da ridere), come se a Madrid fosse ancora al potere Franco, per il Kurdistan come se fosse facile smembrare cinque o sei nazioni, o per la Scozia che a settembre si esprimerà sul suo futuro. Antipatia per la Crimea e per il Veneto, le cui pulsioni poco europeiste e kalergiane non piacciono alla gente che piace e a quella sciocca classe media che tifa per la propria autodistruzione perché ‘è un processo ineluttabile’. Al netto delle retorica sulla costituzione più bella del mondo, roba buona per il pubblico del Benigni di oggi, il principio dell’autodeterminazione dei popoli non può valere a giorni alterni e a località alterne.

2) Il Veneto, nonostante la sua importanza nell’economia italiana, è sempre stato sotto-rappresentato politicamente. La Democrazia Cristiana dei Rumor e dei Bisaglia riusciva ad incanalare il malcontento nel cosiddetto partito supermarket e tutto sommato la Lega nella sua versione berlusconiana ha svolto la stessa funzione. Certo è che tante regioni meglio rappresentate a Roma hanno vissuto per cinquant’anni sulle spalle di un’economia unica, non paragonabile nemmeno a quella di altre regioni ricche, non fosse altro che per l’incidenza sul PIL dell’industria in senso stretto e per l’assenza di una vera capitale, riconosciuta dalle altre grandi città come tale. In altre parole: Venezia non è Milano, Torino, Bologna o Firenze, in rapporto al suo territorio. Da tutto questo deriva una sotto-rappresentazione mediatica, o peggio una rappresentazione macchiettistica. Personalmente siamo contro l’uso del dialetto, nella vita corrente e a maggior ragione nelle scuole, ma non è che nel Veneto lo si parli più che nel 90% d’Italia.

3) Non esiste un leader della protesta, lo stesso comitato promotore del referendum (per saperne di più e votare: www.plebiscito.eu) non ha un vero uomo immagine. E gli stessi mille movimenti indipendentisti veneti, quasi tutti in polemica con la Lega, sono in gran parte realtà da ‘zero virgola’. Eppure questo referendum, che ha l’unico scopo di muovere le acque, è tutto tranne che ambiguo visto che il quesito è ‘Vuoi che il Veneto diventi una repubblica indipendente e sovrana?’. Avendo letto e ascoltato varie interviste, colpisce però il livello superiore al passato di chi adesso crede nell’indipendenza: tutta gente che se votasse a sinistra sarebbe definita ‘società civile’, non certo poveretti che si esaltano per un’ampolla. In altre parole, buona parte del pubblico degli agonizzanti media.

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