Una grande Facenda

13 Febbraio 2008 di Roberto Gotta

1. Una curiosità che non sappiamo quanto sia stata approfondita, a proposito del Super Bowl di due settimane fa, è il nome dello stadio in cui si è giocato. Nome – University of Phoenix Stadium – che è invariato da quando l’impianto è stato inaugurato, ma che nella circostanza ha attratto molti che si sono chiesti cosa diavolo sia la U of Phoenix, visto che quando si pensa all’Arizona ed a suoi college vengono più immediatamente facili i nomi di Arizona State, Arizona, Northern Arizona. E la University of Phoenix? Facile: è un’istituzione nata nel 1976 e dedita all’istruzione a livello universitario per studenti lavoratori, tanto che uno dei requisiti è che si lavori e si abbia accesso ad un ambiente lavorativo che permetta di applicare gli insegnamenti appresi nei campus – piccolissimi, in pratica singoli edifici sparsi in tutti gli USA – ed anche online, perché questa è una delle caratteristiche specifiche della U of P e di altre istituzioni simili, più piccole perché questa è la maggiore di tutti gli Stati Uniti, e pure certificata da una lunga serie di enti. Il che vuol dire che il titolo di studio è valido e riconosciuto. Non proprio come una nostra Cepu, dunque, che ha peculiarità diverse, ma lo spirito è quello. Ed hanno i soldi per dare il nome ad uno stadio.
2. Sempre a proposito di soldini, gli hotel della zona di Phoenix avevano alzato i prezzi per il Super Bowl, ma dal momento che c’è una sorta di controllo istituzionale per evitare che aumenti naturali diventino truffe (certo che i 500 dollari a notte per una stanza al motel Super 8 segnalati da un quotidiano…) è stato sul versante degli affitti temporanei di case, meno regolamentati, che si sono visti aumenti sproporzionati: 1000 dollari a notte per certi appartamenti, ad esempio, o pacchetti di 10-12.000 a settimana per villette. Ad offrire un letto ed un tetto a chi volesse qualcosa di meno costoso ci sono state le… suore di un monastero di Phoenix, quello della Signora di Guadalupe, tra l’altro molto bello, situato a circa cinque chilometri dallo University of Phoenix Stadium. Ospita tre sole suore, che per alleviare il costo di una recente ristrutturazione hanno deciso di affittare le sei stanze per ospiti, al prezzo di 250 dollari a stanza, facendo il tutto esaurito nonostante l’ovvio divieto di fumare e portare alcoolici in camera. Non sorprenderà che l’idea sia venuta alla suora più appassionata di football delle tre, Linda Campbell, che è pure abbonata agli Arizona Cardinals.
3. Anche sorella Campbell avrà sentito allora la Voce di Dio, ma non si tratta di una prerogativa delle persone di fede. Bastava infatti ascoltare l’audio originale dei filmati della NFL Films, diffusi in continuazione sull’NFL Network, il canale televisivo della Lega che in occasione del Super Bowl faceva parte del pacchetto offerto in tutti gli hotel di un certo livello della zona di Phoenix. Una voce potente ora, ma ancor più nelle produzioni anteriori al 1984. In quell’anno, infatti, Dio morì. Un concetto che in teologia stravolgerebbe un paio di millenni di insegnamenti, ma non vogliamo neppure sfiorare il sospetto di essere blasfemi, ed usciamo dalla metafora per rientrare in una realtà a noi più consona. Nel 1984 non morì l’Altissimo in senso lato, per fortuna, ma John Facenda. Il quale era nato nel 1912 e da giovanissimo aveva iniziato a lavorare per una radio chiamata WIP, passando nel 1952 alla rete televisiva di Philadelphia WCAU-Tv, della quale era diventato presto uno dei personaggi più popolari: non solo per la voce bassa, quasi baritonale. Un sera del 1964 Ed Sabol, il fondatore di una piccola società di riprese televisive che era poi stata acquistata dalla NFL e ribattezzata NFL Films, si trovava a Philadelphia per sottoporre ad appassionati ed addetti ai lavori un nuovo formato di trasmissione, ovvero quello che oggi chiameremmo highlights o sintesi di una giornata NFL, quando capitò in un locale “italiano”, il San Marco, frequentato tra gli altri da personaggi del mondo televisivo locale. Qui, mentre era seduto a bere qualcosa, sentì qualcuno che elogiava le sue produzioni, in quel momento visibili in un televisore acceso nel bar: la voce laudatrice era quella di Facenda. che stava parlando di NFL Films ad un amico. Un anno dopo, grazie a quel contatto casuale, la prima produzione “moderna” di NFL Films, They call it pro football (Lo chiamano football pro), usciva con la voce narrante di Facenda: la voce profonda, solenne, maestosa, ieratica, epica che accompagnò per quasi vent’anni tutto quel che uscì dagli studi di NFL Films nel New Jersey, dove Facenda si recava una volta la settimana, senza dunque nemmeno spostarsi molto da Philly. Era la voce adatta a commentare uno sport che in molti momenti faceva comodo, alla NFL, dipingere come giocato da esseri più che umani. Un tono da brividi, che avvicinava ogni ricezione in tuffo, magari aiutata dalle splendide riprese, ad un’impresa da cavalieri antichi. E proprio per questo la successione di Facenda, del quale si diceva che avrebbe reso interessante anche l’elenco del telefono, se l’avesse letto ad alta voce, fu una questione da affrontare con attenzione, perché andava mantenuta la continuità solenne senza che il prodotto perdesse di originalità. Fu scelto un altro protagonista della scena radiotelevisiva, anzi solo radiofonica, di Philadelphia, curiosamente, nonché amico di Facenda (ahia): si tratta di Harry Kalas, che di primo lavoro fa il radiocronista dei Phillies di baseball, e da ottobre a marzo fa il narratore per NFL Films oltre che radiocronache di football, basket Big Five (le cinque grandi università locali) e Notre Dame. Una voce non meno maestosa di quella di Facenda: chi guarda NFL Gameday su Sky può provare ad ascoltarla con il secondo audio, oppure cercarla su YouTube.
4. A proposito di quel pozzo senza fondo, o miniera senza fondo, che è Youtube, tra l’altro utilissimo per chi voglia capire, guardandosi un video girato da uno spettatore in mezzo ad altri spettatori, il clima pazzesco di un Super Bowl. Devin Hester, ritornatore e ricevitore dei Chicago Bears, è un giocatore che dà i brividi, e non stiamo assolutamente usando una metafora, dato che ci vengono ancora le lacrime agli occhi pensando al ritorno del kickoff iniziale del Super Bowl XLI, direttamente in touchdown. Purtroppo per lui, i brividi Hester li dà anche in altri settori. Eccolo (http://it.youtube.com/watch?v=k0BspmOhYQ0) esibirsi in una orripilante versione di Take me out to the ball game, il sacro canto del settimo inning che al Wrigley Field di Chicago assume una particolare importanza per l’eredità lasciata da Harry Caray, il radio-telecronista di cui campeggia una statua all’ombra delle tribune. Ma – tanto per tirare in ballo uno dei modi di dire più razzisti e stupidi che ci siano – i neri non avevano la musica nel sangue?
5. Inizia il campionato italiano. Anzi, iniziano i campionati italiani, perché ce ne sono due. La NFLI continua ad organizzare il proprio, ma ora si è aggiunta la IFL, Italian Football League, nella quale sono confluite alcune squadre di prestigio, tra cui i Lions Bergamo. Argomento di cui ci occuperemo tra qualche tempo, per la complessità. Ci sia solo consentita una nota: se non fosse che le patetiche vicende della Lega Calcio e della Lega Basket dimostrano il contrario, la storia del football italiano si inserirebbe perfettamente nella tradizione di una formula empirica secondo la quale minore è la dimensione di uno sport e maggiore, in proporzione, è la dimensione dei casini che vi si scatenano. Forse perché le – come dire – opportunità a disposizione sono minori e su di esse, sulla loro gestione, si scatena il conflitto. Possiamo andare con la memoria agli anni Novanta, ai primi anni Novanta, e ricordare squallide situazioni a livello Federazione e Lega Football, che non per nulla per un certo periodo furono guidate rispettivamente da un politico in carriera e da un aspirante politico che poi si davvero candidò alle elezioni. Qualunquisticamente, o forse saggiamente, non abbiamo vis

to nulla cui si sia avvicinato un politico che non sia poi finito in vacca totale, e del resto non è che la medesima Lega Basket di rito veltroniano se la stia cavando molto bene. Ma un po’ per par condicio, un po’ perché ci disgusta solo parlarne, lasciamo stare politici e politica.
6. American Bowl si prende un po’ di riposo. La rubrica in sé gode di salute ferrea (almeno speriamo, ma non sta a noi dirlo), l’autore pure, ma è stanco, semplicemente. Ci rivediamo appena possibile.

Roberto Gotta
http://vecchio23.blogspot.com

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