Un giorno da pecora

6 Novembre 2012 di Stefano Olivari

Ventimila pecore australiane uccise senza un vero perché, molte delle quali anche sepolte vive. E’ successo in Pakistan, uno dei tanti avamposti di MedioEvo del pianeta. E per una volta le assurde religioni che da secoli addormentano la ragione delle persone non c’entrano, così come non c’entrano buoni e cattivi. I presunti buoni, gli australiani, quelle pecore le hanno esportate come se fossero una qualsiasi merce con la chiara consapevolezza che sarebbero state bestie da macello (e che macello, del genere che alcune regioni italiane addirittura finanziano in nome del multiculturalismo), mentre i presunti cattivi, i pakistani, le pecore non le hanno uccise per mangiarsele ma perché erano state respinte dal Bahrein (destinazione originaria) per tuttora imprecisati motivi sanitari. A quanto abbiamo letto sul Telegraph, motivi che non erano emersi in Australia e che non sono emersi nemmeno in Pakistan, almeno a quanto si sa tuttora. La peggiore delle malattie non può comunque giustificare il modo in cui si è proceduto all’abbattimento. Che poi il primo ministro australiano, Julia Gillard, abbia protestato con il governo pakistano è ipocrisia pura: un contentino non tanto agli animalisti quanto ai milioni di persone che hanno visto all’interno della trasmissione Four Corners immagini che muoverebbero qualcosa dentro anche a una pietra. Già solo le condizioni di trasporto degli animali vivi dovrebbero essere sufficienti per stoppare questo commercio, giustificato solo dalla legge del più forte.

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