Troppo bello

6 Febbraio 2008 di Roberto Gotta

1. Passata l’emozione? Il ritorno alla vita normale, lavorativa, familiare, ha l’effetto di annacquare i ricordi più belli, ma questa volta l’effetto Super Bowl sarà durato di più, in molti. Perché poche partite sono state così significative e belle: belle nel senso dell’incertezza, dell’equilibrio, della sensazione che ogni azione, anche le corse centrali da una yard al primo down e dieci che allo stadio suscitano meno di un brusio, conti qualcosa per la traccia psicologica e tattica che inciderà nella difesa avversaria. Ormai si sa tutto, anche per chi non è esperto di football: i New York Giants hanno battuto i New England Patriots 17-14, togliendo loro la possibilità di chiudere la stagione imbattuti, e compiendo al tempo stesso una grandiosa impresa. Una delle più belle, se vista dal punto di vista tattico e delle motivazioni, che una squadra abbia compiuto su una ribalta così importante. Per riassumere, vediamo alcune considerazioni sparse, ciascuna delle quali per la verità meriterebbe una rubrica a parte.
2. Tom Brady non ha giocato una partita al livello della sua bravura, o reputazione. Cause: possibili problemi alla caviglia, mai ammessi; mancanza di ritmo nei passaggi, ovvero di quella fiducia che nasce quando ne completi uno, due tre di fila. Nell’unica serie di azioni in cui ha trovato questo ritmo, Brady ha guidato i suoi per 80 yard al touchdown della possibile vittoria a 2’42” dalla fine; pressione estrema della difesa dei Giants, specialmente della linea.
3. La difesa, appunto: guidata con grande coraggio e lucidità da Steve Spagnuolo, che ha allenato anche nella World League in Europa e che ora potrebbe diventare head coach dei Washington Redskins, aveva come principale intento quello di mettere pressione a Brady proprio in mezzo (un esempio è stato il durissimo sack, atterramento, effettuato da Jay Halford nel finale), più che arrivando dai lati, per un motivo molto banale: come sarà capitato spesso di vedere, un quarterback che ha pressione “larga” dai lati, magari a 6-7 yard dalla linea di scrimmage, spesso non fa altro che un passo o due avanti, aiutandosi così anche dinamicamente, e lancia, mentre i difensori che hanno cercato di arrivargli addosso per linee esterne devono tagliare. Pressando direttamente in mezzo, il Qb deve uscire da uno dei due lati, se è svelto, altrimenti non ha scampo. Detta così sembra banale, ma quel che ha fatto la linea difensiva di New York, con l’aiuto di linebacker abili a coprire gli spazi e buttarsi dentro pure loro, e defensive back che con marcature ben fatte hanno impedito a Brady di poter lanciare subito, è stato memorabile, nonostante quel drive da 80 yard dei Patriots che forse in quel momento hanno trovato una difesa un po’ stanca.
4. Eli Manning, un tipo che all’impatto risulta simpatico e riservato, ha giocato la partita migliore che potesse giocare, considerando la pressione che aveva: partendo subito con quattro primi down conquistati si è sciolto, e pure l’intercetto di Hobbs non gli è imputabile perché la palla è finita al cornerback dei Pats (battuto poi malamente da Plaxico Burress nel touchdown decisivo, era evidente che si aspettava che Burress tagliasse all’interno del campo e muovendosi per anticiparlo è rimasto sbilanciato) solo dopo avere sbattuto sul braccio impreparato di Stevie Smith, che per sua fortuna si è poi rifatto in seguito. Non compiendo errori clamorosi all’inizio, che avrebbero potuto dare ai Patriots l’opportunità di segnare punti presto e dunque far uscire i Giants dal tipo di partita che volevano, si è creato le premesse per quel gran drive finale, aiutato anche da una difesa non reattiva, specialmente nei linebacker, che non sono giovanissimi né particolarmente atletici.
5. La ricezione di David Tyree, 32 yard su lancio di Manning nel “drive” (serie di azioni di attacco della medesima squadra) che ha portato al touchdown decisivo è una delle più belle e difficili che si siano mai viste, considerando il momento (era terzo tentativo e cinque sulla linea delle 44 yard di New York): pallone alto, laterale, preso in pratica ad una mano con l’elmetto a tenerlo fermo dall’altro lato (e fuori dal campo visivo di Tyree, ormai) prima che durante la caduta a terra arrivasse l’altra mano a racchiuderlo, evitando che scivolasse o toccasse terra con possesso ancora non certo. Un gesto di atletismo, equilibrio, forza e concentrazione, che ha quasi fatto dimenticare come Manning avesse effettuato quel lancio, ovvero liberandosi da due tentativi di sack e lanciando dopo avere guardato solo per una frazione di secondo in direzione di Tyree.
6. Il trionfo dei Giants è il trionfo del football, se ci è permessa questa espressione. Attenzione: lo sarebbe stato anche una vittoria dei Patriots, che della migliore versione del football hanno dato dimostrazioni costanti, da settembre ad oggi. Quel che vogliamo dire è che l’aspetto di questo sport che ci ha sempre intrigato di più, ovvero quello tattico, ha avuto la sua sublimazione nella preparazione perfetta dei Giants in difesa, e nella bravura dell’attacco ad assecondare i cambiamenti avvenuti dopo che a metà dicembre Jeremy Shockey, il tight end, era finito ko senza speranza di tornare. Come Manning ha sottolineato, l’assenza di Shockey ha fatto sì che si modificassero alcuni schemi in attacco, distribuendo diversamente le responsabilità, e questo è ancora un altro modo di capire il football che non è forse immediato. Ci commuove e appassiona, forse anche per invidia, sapere che ci sono persone – gli allenatori – che trascorrono giornate intere ad analizzare filmati (ripresi legamente, e se ne parla tra poco) nella speranza di cogliere un gesto, una tendenza, un movimento che dia loro la chiave per superare la difesa o l’attacco avversario. Ai difensori alle prime armi, anche in Italia, dicono di guardare i piedi del running back inesperto, perché inconsciamente li volgerà anche di poco, prima che l’azione parta, nella direzione in cui sa di dover andare; nella NFL uno così non durerebbe dieci minuti, e il livello di analisi è infinitamente più complesso, quasi scientifico, esaltante. Tom Coughlin, il coach dei Giants che pareva un orco e quest’anno si è addolcito, e Spagnuolo, con tutti gli altri assistenti, hanno evidentemente capito dei Patriots qualcosa che prima non era evidente. Poi, per fortuna, non si fa tutto a tavolino: se Tyree non avesse preso la palla con il… casco, forse ora queste righe sarebbero dedicate alla stagione immacolata di New England.
7. Impossibile, presuntuoso persino, riassumere in queste righe cosa voglia dire un Super Bowl. L’atmosfera, frizzante senza mai essere tesa, nella settimana che precede la partita, è qualcosa di persino bizzarro perché a volte non si riesce a tenerla tutta sotto controllo. Ovunque ci si giri c’è qualcuno che indossa un capo di abbigliamento con il marchio della partita o di una delle due squadre, e il bello è che dopo qualche giorno l’assuefazione è tale che si notano più quelli privi di loghi che non quelli che li indossano, come magari avviene nelle prime ore, all’arrivo, quando tutto è nuovo ed esaltante. Il Super Bowl spunta da tutte le parti: le passerelle che uniscono gli aerei atterrati ai terminal, quelle insomma su cui si cammina una volta usciti dall’aereo (negli aeroporti USA è rarissimo che si usino i bus per trasportare all’aeromobile, in vent’anni di voli non ci ricordiamo un solo caso del genere), recano il logo temporaneo, così come ogni oggetto su cui sia possibile apporlo. E’ una sorta di Second Life sportiva, se non fosse che è invece la prima e non è per nulla virtuale, ma tangibile ad ogni chiosco, ad ogni negozio, ad ogni trasmissione tv, senza neppure diffonderci in considerazioni sull’NFL Network, il canale televisivo che in realtà sarebbe dannoso nelle nostre case perché ci costringerebbe allo status di nullafacenti. L’osmosi progressiva tra evento e città che lo ospita è tale che regolarmente i quotidiani locali, pur facendo di tutto per occuparsi del Super Bowl su tutti i fronti, ospitano anche una sezione in cui NON venga neppure menzionat

a la partita: l’Arizona Republic aveva l’altro giorno un inserto dal nome INSTEAD, che come dice il nome (“invece”) dava una lista di cose da fare e spettacoli da seguire per chi non volesse neppur sentire nominare il Super Bowl, e chi la pensa così va comunque rispettato perché si parla di americani cui semplicemente non piace questo sport. Perché non dobbiamo dimenticarci un aspetto, razionalmente: anche se ogni anno i giornali italiani premono il pulsante “stereotipo” scrivendo che l’America si ferma per il Super Bowl, bisogna ricordare ancora che la percentuale di case americane in cui il televisore è stato acceso sulla partita è stato del 43.2%, cioé meno della metà delle famiglie americane ha guardato la partita. Certo, la media è stata di 97.5 milioni di spettatori – record per un Super Bowl – con punte di 105, e delle tv accese il 65% era sintonizzato su Pats-Giants (81% a Boston, solo 67% a New York, ma lì ci sono anche i tifosi dei Jets…), ma secondo i nudi numeri la maggioranza degli americani in possesso di un televisore NON ha guardato il Super Bowl, ed è un dato che può colpire chi si immagina strade deserte in ogni dove, se non si considera appunto che ogni anno la partita è comunque sempre tra gli spettacoli televisivi più visti della storia (solo l’episodio finale del telefilm Mash, nel 1983, ha avuto più spettatori di un Super Bowl, 106 milioni). In più, trattandosi di una sorta di festa nazionale che porta all’aggregazione più che all’isolamento, il motivo per cui molti televisori sono spenti è che i loro proprietari si sono riuniti a vedere la partita a casa di amici, arrivando magari già per il pranzo (un classico di questi giorni è nei giornali l’inserto con le ricette per il giorno della partita), e dunque il numero di spettatori è più alto di quanto viene calcolato. Per tutto questo, per il clima, per la sportività (“sì, abbiamo perso, ma passerà, siamo lo stesso una grande squadra e la cosa più bella è che ci siamo divertiti un mondo a Phoenix” diceva sul pulmino per l’aeroporto ieri un tizio che indossava la maglia di Tedy Bruschi), per il colore, per i colori, per l’emozione di certi momenti in cui allungando le braccia in avanti sentiresti quasi di stringere tra le mani la tensione, sfioriamo il sacrilegio dicendo che un viaggio al Super Bowl dovrebbe pagarlo la mutua, prescrivendolo, al posto delle noiosissime terme, a chi soffre di eccessivo stress.
8. Inutile comunque fingere che non ci fosse un convitato di pietra, a Phoenix, dove del resto di rocce e deserto se ne intendono: il sospetto di spionaggio sui Patriots, sospetto a dire il vero concretizzatosi in realtà in settembre, con la multa di 500.000 dollari rifilata dalla NFL a coach Belichick perché un addetto della squadra aveva filmato le segnalazioni degli allenatori dei New York Jets – squadra, ahilei, battibile anche senza particolari grimaldelli. Come noto, la lega confiscò sei dvd e fu dopo averli analizzati che decretò la punizione per coach e squadra, ma alla vigilia della gara è venuto fuori un ex addetto video dei Pats che sostiene di essere in possesso di altri filmati compromettenti, uno dei quali con il cosiddetto walk-through dei St.Louis Rams prima del Super Bowl XXVI (gennaio 2002), ovvero il ripasso degli schemi “camminando”. Potenzialmente un disastro, perché confermerebbe quel che molti ipotizzarono in settembre, cioé che la NFL avesse deciso di distruggere nastri ed appunti in quanto contenevano materiale che avrebbe messo in discussione la genuinità dei tre Super Bowl vinti dai Patriots. Le teorie del complotto sono spesso patetiche per l’uso selezionato delle prove che viene fatto per supportarle, e mai vorremmio giuliettochiesare ipotizzando insabbiamenti gravi e macchinazioni da Grande Vecchio, ma una cosa va fatta, ancor prima che detta: se c’è qualcosa di losco, la NFL può anche mantenere un viso pubblico imperturbabile, ma deve, assolutamente deve, stroncare nella culla qualsiasi persona o situazione che possa minare l’onestà del suo campionato. Come per la questione doping, su cui torneremo se ne avremo le forze e la lucidità, meglio soffrire un po’, negli uomini e nelle circostanze, che macchiare una reputazione che la NFL, un carro armato dal punto degli appoggi, dei contatti e dell’influenza, ha costruito in decenni, e che l’hanno resa la lega professionistica più forte d’America.
9. La prossima settimana torneremo sul Super Bowl. Per motivi di digestione, un pezzo su Internet non può essere troppo lungo, ed allora teniamo per altri sette giorni una parte della montagna di curiosità, aneddoti, segnalazioni intercettate a Phoenix.
10. In chiusura, una pessima notizia: il campionato NFL riprenderà solo tra sette mesi. Coraggio.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it
http://vecchio23.blogspot.com

Share this article