Segni particolari: bellissima

7 Giugno 2010 di Marco Lombardo

di Marco Lombardo
Il trionfo di Francesca Schiavone al Roland Garros non ha solo un significato sportivo, perchè al netto del patriottismo va detto che è maturato in circostanze irripetibili. Ma questa vittoria è in realtà molto di più…

«Non mi piace promettere, perché poi questo ti mette pressione addosso. Io voglio vivere il presente». Francesca è questa, ti guarda negli occhi e prende una pausa prima di parlare, perché non vuole sbagliare nulla, neppure una parola. Francesca non sapeva come avrebbe festeggiato il suo trentesimo compleanno, cade giusto il 23 giugno, e anche farsi un regalo diventava un esercizio della mente, perché «anche la mente è un muscolo, e va allenato ogni giorno, con il dritto e il rovescio». Ecco allora perché niente è impossibile, come recitavano le magliette della sua curva nel giorno in cui un’italiana fa diventare il Roland Garros terra rosa, tutto si può quando al talento ci si aggiunge il cervello. Anche farsi un regalo così. Per questo a Francesca non piace che la chiamino Leonessa, sembra solo forza bruta, c’è molto di più in un tennis – quello delle donne – di solito diviso tra le lolite e le Williams. Quando poi però si crea il vuoto bisogna approfittarne, e Francesca l’ha fatto, con intelligenza, costanza, rabbia, nessuno glielo avrebbe tolto quel sogno che faceva da bambina, perché era il momento: «Ne ho viste così tante in tv di finali del Roland Garros…». Questa volta invece in tv c’era lei e il cerchio si è chiuso. Perché Francesca era in fondo predestinata, fin dai primi passi nel tennis delle grandi, lei unica capace di tenere i ritmi di certe marziane con la racchetta. Mancava sempre un particolare, però, perché a un centimetro dal traguardo c’era sempre meno fiato in gola, tanto che la sua stava per diventare la carriera di una perfetta perdente. Otto finali Wta, ovvero del grande Barnum delle tenniste, sempre perse, e gli anni passavano, la Leonessa schiumava con tutti, giornalisti compresi, con i quali ingaggiava furibonde conferenze stampa per spiegare loro che la Schiavone un giorno avrebbe fatto vedere chi era Francesca. Poi, il 29 luglio 2007 a Bad Gastein, un’anonima località austriaca, il primo grande successo in singolare, il posto in cui si è sempre trovata più a disagio. Perché Francesca era davvero Leonessa da leader di una squadra, quella di Fed Cup, la Davis femminile, che oggi conta due titoli mondiali (2006 e 2009) e una finale ancora da giocare contro gli Usa, perché lei con Flavia Pennetta – la notte e il giorno del nostro tennis – erano e sono la combinazione perfetta. Ma da sola no: dopo quel 2007 è stato ancora buio e Francesca sembrava persa per sempre, troppo difficile allenare quel muscolo pieno di troppi pensieri. Ma si sa, il cervello è uno strumento difficile e meraviglioso, e quello di Francesca ancora di più: sei mesi da sconosciuta nel 2009, poi i quarti a Wimbledon e la vita è cambiata, di nuovo, davvero. La vita può cambiare sempre, figuriamo a 30 anni, la vecchiaia del tennis che è ancora il fiore della gioventù. Bastano le persone giuste, l’idea che ce la si può fare, quei pensieri positivi che a volte nascono all’improvviso dopo aver colpito una pallina. Così è nata la nuova Francesca Schiavone, che non sarà mai una star dello sport per come il mondo le cerca, ma forse per questo è adesso la più grande di tutte. Francesca veste sempre sportivo, legge molto, frequenta poco: ha un giro di amici che sono sempre gli stessi, non ha un fidanzato ma già sa che un giorno avrà un figlio e non litiga più con i giornalisti, perché adesso sa sempre cosa dire. E se non lo sa, ci pensa un po’ e ti guarda negli occhi. Così è capitato anche sabato al Roland Garros. E Francesca sembrava più bella che mai, anche se non sarà mai una top girl: la sua bellezza era tutto nel suo sorriso un po’ malinconico e in quegli occhi che non fuggono mai, ormai non fuggono più. Francesca ha sudato, ha lavorato, ha vinto, proprio sul campo in cui di solito giocano le marziane. Ma sabato l’extraterreste era lei e noi della generazione orfana di Panatta che non pensava di avere più una gioia come questa, adesso possiamo dire di aver visto tutto nella vita. Anche una marziana italiana.
Marco Lombardo
(pubblicato sul Giornale di ieri)

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