Schumacher

17 Settembre 2021 di Stefano Olivari

Non abbiamo resistito a Schumacher, il documentario da pochi giorni disponibile su Netflix. E abbiamo fatto bene, pur con i soliti asterischi: essendo costruito su immagini in gran parte fornite dalla famiglia del fuoriclasse e dalla stessa Formula 1, oltre che su interviste a persone che lo stimano (su tutti la moglie Corinna, poi i figli, Briatore, Ross Brawn, Todt, Ecclestone, Montezemolo, Weber, eccetera), aggiunge poco a quello che tutti sappiamo sul sette volte campione del mondo, di cui cinque con la Ferrari.

Per non parlare delle tante omissioni, anche se era impossibile aspettarsi il racconto di come Corinna lasciò Frentzen per mettersi con Schumacher, che di Frentzen era amico, addirittura amicissimo ai tempi della Formula 3 tedesca. Ci sarebbe piaciuto anche il racconto dei tanti incroci con Hakkinen, fin dall’adolescenza, vite quasi parallele ma caratteri ben diversi. Inesistente il racconto dei rapporti con il fratello Ralf, pur intervistato, che non è il pizzicagnolo ma uno che ha corso 180 gran premi. E anche la madre Elizabeth, che quando morì fu omaggiata da due fratelli con una commovente cavalcata in gara, quasi non è citata.

Il fascino di questo film non sta tanto nella eccezionale storia di Schumacher o nelle sue tante vittorie, ma nel suo presente, visto che dalla fine del 2013 a causa di un incidente sugli sci a Meribel è rimasto in vita in stato semicomatoso prima in diversi ospedali e poi nella casa di Gland, non lontano da Nyon, assistito costantemente dalla moglie e da un esercito di infermieri, con pochi amici che hanno potuto anche soltanto vederlo.

Il pensiero dello Schumacher quasi vegetale di adesso moltiplica le emozioni date da tante gare da brivido, dal debutto in Formula 1 con la Jordan nel 1991 (il documentario è uscito per il trentennale di Spa) fino al triste rientro con la Mercedes, passando per la gloria con Benetton e Ferrari e tante battaglie vicino al limite: con Senna (bella la parte sui primi scontri fra i due, con Senna che aveva percepito chiaramente la nascita del suo successore come mito), Villeneuve, Hakkinen e altri.

In mezzo ai soliti stereotipi sul duro lavoro e sulla ricerca della perfezione (gli stessi di chi gli arrivava dietro, solo che lui aveva più talento), buoni per qualsiasi sport, questo documentario di produzione tedesca ha il merito di insistere molto sullo Schumacher bambino non povero ma senza le possibilità degli altri, e sullo Schumacher al di fuori della Formula 1: l’intento era quello di raccontare un uomo senza problemi, e meno che mai demoni, ma ne viene fuori invece l’esatto contrario. L’incapacità di riconoscere meriti agli avversari, al contrario ad esempio di un Hakkinen o di un Damon Hill, la mancanza assoluta di autocritica, l’assenza di interessi oltre le corse, al di là della vita familiare e di hobby adrenalinici come il paracadutismo.

Come per altri fuoriclasse dello sport, da Federer a Drazen Petrovic, la vita coincide con l’opera anche se noi cerchiamo di cogliere significati in tutto. Non si poteva raccontare lo Schumacher segreto al di fuori della Formula 1, per la semplice ragione che non ci poteva essere alcuno Schumacher segreto. In quel bambino costretto a correre con il kart sul bagnato con le gomme slick c’era già tutto.

 

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