Re senza sudditanza

15 Settembre 2009 di Stefano Olivari

Il terzo torneo consecutivo del Grande Slam senza Nadal sulla sua strada (al Roland Garros glielo ha eliminato Soderling negli ottavi, a Wimbledon non c’era, a New York una sua versione eroica ma menomata è statata triturata in semifinale con una brutalità ai suoi danni che ricordiamo solo in una semifinale australiana con Tsonga) ha quindi detto male a Roger Federer. Al di là della classe immensa, uno che in carriera ha sempre avuto la freddezza di sfruttare le occasioni tranne che contro il miglior Nadal. E ieri (o oggi, stiamo scrivendo con gli occhi pallati) c’erano tutti i presupposti per un Federer in tre set contro un avversario fortissimo ma con qualche limite soprattutto per quanto riguarda i colpi giocati in corsa ed il gioco di volo. La partita di Juan Martin Del Potro è stata vinta nei due tie break, in cui il campione svizzero non è riuscito a praticamente a rispondere, ma soprattutto sul 4-5 del secondo set quando Federer è andato a servire per il set. Proprio il servizio, architrave del gioco del Federer recente (Roddick ne sa qualcosa), ha tradito, ma di sicuro Del Potro si è aiutato da solo con un diritto devastante ed una nadaliana assenza di sudditanza psicologica, con il contorno di qualche atteggiamento antipatico ma ai fini del ribaltamento dei valori più funzionale dei sorrisi di Djokovic. La morale? Il tennis maschile ha i suoi protagonisti tutti vivi, chi non è stato all’altezza della fama può trovare scuse fisiche o di altro tipo, mentre quello femminile tolte le Williams sta diventando una terra di nessuno e non è più strampalato pensare che una bravissima professionista come la Pennetta trovando il buco giusto in tabellone possa arrivare alla semifinale e anche oltre in un torneo vero. Lunga seconda vita a Kim Clijsters, aspettando la Henin, ma gli uomini sono attualmente un’altra categoria.

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