Piazza grande

23 Febbraio 2007 di Stefano Olivari

Siamo nel 1974, la Germania Ovest è campione del mondo, l’Olanda di Johann I e II (Cruijff e Neeskens) ha buttato al vento la finale dopo essere stata in vantaggio e dopo aver peccato di presunzione contro i padroni di casa. La Coppa è il vero apogeo della carriera di Maier, Beckenbauer, Breitner, Hoeness e Gerd Muller, fuoriclasse che poche settimane prima, con il Bayern, hanno portato per la prima volta in Germania la Coppa dei Campioni. Il Saint-Etienne di Herbin intanto è ritornato campione di Francia dopo 4 anni di digiuno, e può così tentare un nuovo assalto all’Europa, vero sogno proibito del presidente Rocher. La squadra allestita dal direttore sportivo Garronaire e dallo stesso Herbin annovera campioni nel pieno della carriera come Larquè, Bereta, Farison ed Hervè Revelli, di cui già abbiamo detto: sono loro che formano l’ossatura della squadra, ma i due leader dei Verts, in campo e nello spogliatoio, sono due stranieri all’inizio non molto noti, ma che Herbin, che li ha voluti con grande decisione nell’estate del 1972, trasformerà in fuoriclasse assoluti. Ivan Curkovic, portiere jugoslavo del Partizan di Belgrado (di cui oggi è presidente, oltre che console onorario delle Seychelles in Serbia), è il primo tassello voluto da Herbin; Curkovic è un estremo difensore di grande personalità e professionalità, ideale completamento in campo del suo allenatore, dedito al duro allenamento spesso svolto proprio con Herbin; la sua calma e il suo grande rigore tattico lo portano a comandare in maniera perfetta uno dei migliori reparti difensivi del mondo, tra i primi a fare uso sistematico della tattica del fuorigioco; solo una concorrenza di enorme livello (Pantelijc, Maric, Petrovic) nell’allora fortissima Jugoslavia gli impedisce di partecipare al Mondiale 1974, ma le grandi prestazioni nelle coppe europee (giocò anche la finale contro il Real nel 1966) gli permettono di entrare a buon diritto tra i migliori portieri della sua epoca. ll secondo straniero acquistato da Rocher per rinforzare la squadra è un giovane attaccante argentino del Velez Sarsfield; accolto con una certa diffidenza la notte del suo arrivo da Buenos Aires, è particolarmente impreciso sottoporta ma diventerà con il tempo uno dei migliori difensori sudamericani dell’epoca (insieme a Passarella, Figueroa, Luis Pereira e Marinho), ed in assoluto il giocatore più amato della storia del Saint-Etienne: il suo nome è Oswaldo Piazza. L’idea geniale è di Herbin, trasformare in difensore centrale questo talento offensivo dalla mira imprecisa ma con un cuore gener€oso e una potenza fisica straripante, “Va bene mister, giocherò in difesa, ma voglio avere la più completa libertà di avanzare, perchè questo è il modo in cui io intendo il calcio: sempre all’attacco”; Herbin non può che essere d’accordo, e in questo momento nasce il mito delle “montées offensives”, le poderose cavalcate “capelli al vento” di Oswaldo Piazza, idolo dei tifosi (e sopratutto delle tifose) del Geoffroy-Guichard. Solamente a causa della dittatura di Videla, che impedisce agli argentini che militano in Europa (tranne Kempes) di essere convocati da Menotti, Piazza non potrà giocare, e vincere a fianco di Passarella, il Mondiale 1978 (al suo posto il più modesto Luis Galvan). Tanto il rigore e la professionalità di Curkovic quanto il coraggio, il carisma e la personalità di Piazza sono il vero segreto del gruppo dei Verts, l’arma che porterà questa piccola squadra a conquistare il cuore dei francesi e dei tifosi di tutta l’Europa; ancora una volta Herbin ha visto giusto. in uno spogliatoio dove i leader sono uomini come Curkovic, Larquè, Piazza e Revelli è inevitabile che giovani di talento, scoperti da Garronaire in tutto il paese, riescano a maturare diventando veri e propri campioni; in difesa ci sono Gerard “le Cerbère” Janvion e Christian Lopez; il primo è un marcatore rapidissimo originario della Martinica che presto diventerà titolare inamovibile della nazionale, il secondo è un baffuto libero elegante ed ordinato, perfetto complemento dell’anarchico Piazza: entrambi sono in grado di svolgere la fase offensiva con grande qualità (e non è comune tra i difensori degli anni Settanta, che spesso avevano come unico compito quello di annullare l’avversario diretto), ed entrambi saranno in campo a Siviglia, otto anni dopo, A centrocampo, insieme a Larquè, giocano Christian “le Chtì” (“le Chtì” perchè originario del Nord-Pas de Calais: durante la Prima Guerra Mondiale i soldati che combattevano sul fronte “di casa”, sulla Somme o in Piccardia, dicevano di essere “chtì” che in pratica vuol dire “sono di qui”) Synaeghel, interno elegante detto anche “la formica” per via di un fisico decisamente gracile ed il potente Dominique Bathenay, una sorta di Tardelli francese, abile nella costruzione, fortissimo nel contrasto e dotato di un gran tiro dalla distanza: giocherà il Mondiale in Argentina, ma non quello del 1982, nonostante sia di gran lunga il miglior mediano francese, a causa di contrasti con Hidalgo e soprattutto Platini. Davanti, con Bereta e H.Revelli ci sono l’ala sinistra di origine spagnola Christian Sarramagna, che come tutte le ali sinistre classiche è un dribblomane in grado di fare giocate strepitose oppure di non beccare mai la palla per tutti i 90 minuti, Patrick Revelli (fratello minore di Hervè), attaccante “fisico” in grado di cambiare il volto alle partite con le sue accelerazioni e i suoi cambi di passo, ed infine Yves “Tintin” Triantafilos, centravanti di origine greca arrivato dall’Olympiakos. La Coppa dei Campioni 1974 mette subito di fronte ai Verts un avversario non facile, lo Sporting Lisbona di Hector Yazalde, centravanti dell’Argentina ai Mondiali e Scarpa d’oro in carica con 46 gol; il Saint-Etienne si qualifica agevolmente con gol di Hervé Revelli e Bereta all’andata e di Synaeghel al ritorno (in Portogallo) rendendo inutile l’unico gol di Yazalde, che marcato dal solido Piazza non la vede granchè. Il secondo turno contro l’Hajduk Spalato è tutta un’altra storia, il 23 ottobre 1974 in trasferta l’arbitraggio del turco Babacan e soprattutto i dribbling dell’asso Ivica Surjak distruggono la difesa dei Verts; Hervè Revelli mette una pezza al gol iniziale di Jerkovic, ma nel secondo tempo ancora Jerkovic, Zungul e Mijac portano l’Hajduk sul 4-1 che sembra chiudere la qualificazione; Piazza (e chi se no?), uno che non ama perdere, scatena una megarissa negli spogliatoi minacciando vendetta. L’ambiente è sfiduciato; il giorno prima della partita di ritorno il Borussia Monchengladbach ha fatto 5 gol a Lione (la squadra rivale dei Verts) e Rocher non crede che il calcio francese possa mai uscire dalla mediocrità: Herbin però chiede al suo dirigente di aspettare a dare giudizi, perchè i Verts non sono ancora eliminati. Occorrono tre gol e poco dopo la mezz’ora Jean-Michel Larquè apre le marcature, ma allo scoccare dell’ora tutto sembra perduto allorchè il solito Jerkovic pareggia i conti. Passa un minuto e Bathenay riapre la partita con un siluro dei suoi, Herbin toglie il terzino Repellini per mettere la quarta punta Triantafilos e il suo coraggio paga: al 71′ Synaeghel viene atterrato in area e Bereta, all’ultima partita coi Verts (cacciato da Rocher per i contatti col solito OM) fa il 3-1 su rigore; mancano venti minuti e a otto dalla fine proprio il nuovo entrato “Tintin” segna il gol che vale i supplementari, completando l’opera in piena trance agonistica allo scadere del primo supplementare sottraendo una punizione a Bereta “Berette, a moi!” e sparandola alle spalle di Meskovic: finisce 5-1, è il 6 novembre 1974, e al Geoffroy-Guichard, dopo un recupero che sembrava impossibile, nasce la leggenda dei Verts. Passiamo al marzo 1975, ed ai quarti di finale della Coppa contro i polacchi del Ruch Chorzow; andata in trasferta, e come spesso accadeva nei paesi dell’est (per motivi che si possono ben immaginare, basti pensare alla Roma in casa del Carl Zeiss Jena), il Saint-Etienne incontra una squadra che va al doppio della velocità, e dopo un’ora di gioco è sotto tre a zero. In una situazione così difficile il merito dei

Verts è quello di non mollare e così Larquè e Triantafilos riescono a ridurre il passivo ad un solo gol di scarto. Al ritorno il gol qualificazione arriva già al terzo minuto con Janvion, anche se occorre soffrire fino in fondo, quando Hervè Revelli chiude i conti per il 2-0 da segnare sugli almanacchi. In campionato il Saint-Etienne è protagonista di imprese incredibili, analoghe a quelle di Coppa, in particolare contro Olympique Marsiglia e Bastia; all’ultima giornata Herbin, per festeggiare il titolo, scende in campo in difesa contro il Troyes, realizzando addirittura il 5-0 su rigore; anche la Coppa di Francia vede trionfare i Verts, ma in Europa la semifinale mette loro di fronte l’avversario più forte; i campioni in carica del Bayern Monaco. L’andata purtroppo si gioca in Francia, e gli attacchi dei Verts si infrangono contro la porta di Maier; al ritorno passano due minuti e Beckenbauer porta il Bayern in vantaggio, il “gioco collettivo” (come vuole Herbin) del Saint-Etienne è bello a vedersi, ma maledettamente poco efficace contro i tedeschi, Durnberger raddoppia al 69′ e per i Verts la finale di Parigi rimarrà un’utopia. Il Bayern rivincerà la coppa al Parc des Princes contro il Leeds, nella partita che segnerà la nascita ‘mediatica’ del fenomeno hooligans, ma il Saint-Etienne è pronto per un nuovo assalto alla Coppa 1975-76. Con un’arma in più, un giovane fuoriclasse chiamato “l’Ange Vert”…

Carlo Maerna
carloblacksun@hotmail.com

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