Perfetti o sorprese

30 Gennaio 2008 di Roberto Gotta

1. Mancano più o meno quattro giorni al Super Bowl, se si considera il giorno di pubblicazione di questa rubrica, e la lunga vigilia della partita si svolge su due piani completamente differenti, uno pubblico ed uno privato. Differenti, e contrastanti. E quello pubblico, che si manifesta in giornate come quella di martedì, il cosiddetto Media Day, è a sua volta diviso a metà. Facile spiegare perché: le due squadre si offrono alla stampa e alle televisioni, anche qui imperversanti, in appuntamenti fissi, con una disponibilità istituzionale – ovvero indipendente dalla volontà dei singoli giocatori – che non manca mai di impressionare, specialmente se paragonata alle procedure in vigore nel calcio, a tutti i livelli, in cui i media vengono visti come un fastidio maleodorante. Non che la NFL non ambisca, come tutte le grandi strutture, al controllo totale dell’informazione che la riguarda, ma certamente non si sforza molto per farlo vedere, visto che per un totale di tre ore, tra il martedì e il giovedì, tutti i giocatori, allenatori ed assistenti delle due squadre sono a disposizione di chiunque voglia parlare con loro, per qualsiasi motivo. Non solo conferenze stampa, che aprono le mattinate di mercoledì e giovedì, ma anche postazioni singole dove, con pazienza, superata la prima ondata di coloro i quali hanno fretta di spedire il pezzo o inviare il servizio, è possibile anche alla bambina accreditata come “student reporter” per una pubblicazione locale rivolgere una domanda senza che qualche trombone la mandi via o ricominci a “lavorarsi” il giocatore prendendolo sottobraccio. Questo è il volto pubblico delle squadre negli incontri con i media, a sua volta contraddistinto da ben diverse modalità tra il Media Day e gli appuntamenti del mercoledì e giovedì. Il Media Day, ne abbiamo già parlato, si svolge allo stadio, le due squadre si presentano vestite da gara e l’opportunità, specialmente per le televisioni, è unica, in quanto si tratta dell’ultima occasione in cui sia possibile ritrarre i giocatori vestiti da partita (anche se privi di imbottiture). E’ il giorno in cui si girano scenette e interviste che per il valore cromatico dato dalle maglie da gioco possono andare bene anche per i giorni successivi.
2. Il guaio è che c’è chi se ne approfitta, e il Media Day diventa un carnevale anticipato (o posticipato, visto che come noto in USA ci si traveste ad Halloween). Va detto che a renderlo tale sono quasi sempre testate straniere: per quanto a molti possa sembrare strano, gli americani trattano giustamente il Super Bowl con notevole rispetto, e solo gli esponenti di media per loro natura alternativi – i canali musicali e quelli legati al mondo dello spettacolo, peraltro regolarmente accreditati e dunque tacitamente approvati nel loro comportamento dalla NFL – trovano angolazioni particolari di visuale del Media Day, ma per il resto sono gli stranieri a distinguersi per fescennini, forse perché in patria, tristemente, non sarebbero in grado di attirare un sufficiente numero di spettatori se parlassero solo di tecnica, tattica e temi sportivi. Anni fa persino i tedeschi, da cui non ci si aspetterebbe qualcosa di simile, portarono con sé una tizia vestita da pallone da football, che faceva domande a destra e a sinistra, mentre questa volta, ricevendo poi amplissimo spazio specialmente nei notiziari televisivi, una Tv messicana ha portato una ragazza vestita da sposa – mezza vestita, a dire il vero, perché la gonna terminava nemmeno a metà coscia – che andava in giro a chiedere a Brady, Manning ed altri giocatori di sposarla (giornalismo di altissima qualità, come si vede), un’altra con stivaloni, pantaloncini e canottiera gialla, e che cercava di fare passi di danza con alcuni giocatori (il Premio Pulitzer è in arrivo!), un’altra ancora era la Inès Sainz di Tv Azteca che fu notata anche ai Mondiali 2006 per l’abbigliamento non moderato, anche se qui pareva la più casta di tutte (aveva pure un pallone da calcio, che però un addetto NFL le ha confiscato); su un piano – anche estetico – completamente diverso, un tizio, Joel Bengoa, presentatosi come astrologo di Telemundo (Los Angeles, ma ovviamente tv rivolta agli ispanici) e vestito con turbante dorato e mantella nera con mezzelune altrettanto dorate, che si lamentava pure perché «sono qui ad intervistare la gente ma sono io ad essere intervistato», per chiudere con Charlie e Paco, ovvero due pupazzi, di quelli che si infilano nel braccio muovendo loro la bocca con le dita, presenti al Media Day come intervistatori.
3. E se alcuni giocatori, avendo compreso in pieno il significato giocherellone della giornata, non solo partecipano con entusiasmo, ma si danno pure da fare (Richard Seymour si è tolto la calza ed ha mostrato il piedone al compagno di squadra Ellis Hobbs, moltissimi giravano riprendendo le scene con le loro telecamerine, Plaxico Burress tra catenona d’oro e occhiali da sole pareva ad un’audizione per un ruolo da rapper), altri vivono situazioni come quelle con disagio celato da un sorriso stampato, o un’espressività limitata. Uno come Bill Belichick, ad esempio, il serioso coach di New England, era palesemente a disagio, e non solo perché jeans e sandali, il suo abbigliamento (ma la solita felpa con cappuccio dov’era?), contrastavano con tutto il resto, ma anche perché per tutti i sessanta minuti, pur sorridendo benevolmente e rispondendo ad ogni domanda, non ha quasi mai mosso la testa o cambiato espressione: tra le poche concessioni che ha fatto, l’ammissione che come spuntino ama tutto quello che ha del sale («certo – ha confermato Rodney Harrison, il safety – Non l’ho mai visto consumare un pasto vero, si caccia in bocca una manciata di patatine e torna a lavorare») e di non essere un amante della televisione, ma questo era scontato in uno che passa le sue giornate al lavoro e al video sì, ma quello delle partite della propria squadra e delle avversarie, per studiarle.
4. L’altro lato della manifestazione pubblica del Super Bowl è dato, naturalmente, dagli eventi collaterali, tipici del resto di ogni grande manifestazione sportiva, dall’All-Star Game al Kentucky Derby (divertente quanto detto ieri da Jimmy Johnson, l’ex grande coach campione NCAA con Miami e NFL con Dallas: «andarci una volta è bello perché è una giornata particolare, ma non finisce mai e infatti non ci tornerei più»): feste a tema, ricevimenti, concerti, pranzi di beneficienza, uno scenario in cui chiunque abbia qualcosa da mostrare, dire, proporre si fa avanti. La lista è così lunga che non si riesce neppure a farvi accenno menzionando uno o due appuntamenti, ma conferma quel che era palese da anni, ovvero che la settimana che precede i Super Bowl è una sorta di congresso generale della NFL, di tutto quel che gira intorno alla lega sportiva più forte e organizzata del mondo e di tutto quel che aspira ad aggrapparsi ad essa.
5. Il lato privato, ora, o professionale, se vogliamo definirlo nello specifico. E’, per le squadre, tutto quel che avviene lontano dagli appuntamenti pubblici. E’, sostanzialmente, la preparazione al Super Bowl, che per tutti è ciò che conta di più, tranne qualche scimunito che poi pagherà caro tutto ciò in partita: come Eugene Robinson che nel 1999 venne arrestato a poche ore dalla gara per avere chiesto una prestazione sessuale ad una poliziotta sotto copertura, dopo avere lasciato in albergo non solo la moglie ma anche la targa che al mattino gli era stata consegnata dall’associazione religioso-sportiva Athletes in Action per la sua “statura morale”. Ora, è normale che i giocatori non restino segregati in hotel ed anzi vengano spesso visti in ristoranti e locali, ma è altrettanto ovvio che si chieda loro di essere responsabili. E il momento di esserlo è in giro come in campo. E’ abitudine dei coach più organizzati utilizzare per la preparazione della partita i giorni successivi alle finali di conference, per fare in modo che nella settimana pre-Super Bowl si debbano solo rifinire i particolari e curare i dettagli finali. Si vuole insomma smaltire il grosso del lavoro prima di arrivare nella città che o

spita la partita, per evitare che eventuali distrazioni o gli impegni ufficiali con i media – che peraltro terminano alle 12 del giovedì – costringano a modificare i programmi. Il Daily News di New York ha rivelato i dettagli della giornata di martedì, per i Giants. Niente di straordinario, visto che oltretutto non era previsto neppure un allenamento (come durante la regular season, quando in genere il giorno di riposo è proprio il martedì, non il lunedì) ma serve a farsi un’idea: ore 8: controllo medico ed eventuali cure per gli infortunati ore 8.15-9.15: colazione (obbligatoria) ore 9.15: partenza bus per il centro tecnico dei Cardinals ore 10: partenza per lo University of Phoenix Stadium ore 11: Media Day, vestiti da partita, con foto di gruppo alla fine ore 13: partenza per il centro dei Cardinals (spuntino a bordo) ore 14.15: ritorno all’hotel e pranzo ore 14.30: controllo medico, poi resto della giornata libera ore 01.00: tutti in camera
6. Dal punto di vista tecnico o tattico, l’analisi della partita è facile e dunque insidiosa. Anche perché un mese fa i Patriots avevano battuto a fatica i Giants e dunque c’è da entrambe le parti la tentazione di fare riferimento a quella partita: solo che, per dirne una, resterà il dubbio in entrambe se i Giants cercheranno di ripetere l’impostazione che li aveva portati anche a 12 punti di vantaggio o se invece modificheranno qualcosa proprio per sorprendere i Pats, per i quali vale naturalmente il ragionamento opposto. Un dato messo in evidenza ieri colpisce e fa pensare a come dovrà essere il Super Bowl: solo due quarterback nella NFL 2007-08 hanno effettuato meno passaggi di Tom Brady dalla zona al di fuori della cosiddetta “tasca”, ovvero uscendo dalla normale posizione compresa tra le estremità della linea di attacco. Il che vuol dire quel che già si sapeva: Brady raramente è stato messo sotto pressione dalle difese avversarie, raramente ha dovuto evitare tentativi di “sack” e dunque lanciare in corsa o in maniera affrettata. Col risultato di una stagione da 50 passaggi in touchdown e senza sconfitte. Dunque, primario obiettivo per i Giants è fermarlo, farlo muovere, mettergli pressione, per aumentare le probabilità di un lancio sbagliato o della perdita di ritmo offensivo che anche in uno sport che ha un intervallo tra un’azione e l’altra è cruciale. Solo che, come ha detto Steve Spagnuolo, il defensive coordinator dei Giants, a parole sono capaci tutti, all’atto pratico va un po’ diversamente. New York può avere possibilità se dietro a Brandon Jacobs («quello che di lui colpisce nonostante il fisico è la rapidità una volta che supera la linea di scrimmage» ha detto Belichick) e Ahmad Bradshaw riesce a guadagnare yard su corsa con una certa costanza e dunque tenere palla a lungo. Se si va ad un punteggio alto è più facile che vincano i Pats, che hanno maggiore potenziale offensivo, anche se naturalmente il 38-35 del mese scorso può far pensare che questa teoria non regga.
7. E’ pressoché certo, anche se l’annuncio verrà dato venerdì: quest’anno a Londra, domenica 26 ottobre, la partita NFL di regular season sarà New Orleans Saints-San Diego Chargers. Nomi di minor richiamo rispetto a Dolphins-Giants dell’ottobre scorso, ma forse partita più spettacolare. Con un rischio: New Orleans, ancora alle prese con la ricostruzione del dopo-Katrina, perde così una delle otto partite casalinghe, e non sembra una mossa politica azzeccata da parte della NFL sottrarre l’amatissima squadra locale a gente che l’ha vissuta, nel bene o nel male, come uno degli elementi di rinascita dopo la tragedia.
8. Chiusura: alla sessione di interviste dei Patriots, una ragazza di ESPN di cui non riusciamo mai a memorizzare il nome (e sbirciare l’accredito appeso al collo non è bello…) ha appena intervistato Adalius Thomas: non era vestita da sposa né mostrava un centimetro di pelle, ma ha fatto 5-6 domande di fila una più competente dell’altra. E altre sue colleghe americane non sono da meno. Potranno anche essere carine, ma se non hanno padronanza della materia col cavolo che vengono mandate a fare interviste o chiamate ad occuparsi di sport. Evviva.

Roberto Gotta
http://vecchio23.blogspot.com

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