Oltre il cinquanta di ridicolo

1 Giugno 2007 di Stefano Olivari

1. Il bello del ciclismo è che è gratis. O perlomeno molto scontato. Le ammissioni di Riis, Zabel, Aldag, Bölts, Henn e Dietz non potevano sorprendere nemmeno il candido più Candido di Cannavò. Il racconto dei ’90 è sempre stato carico di epos (anche senza la finale). La letteratura del decennio narrò le gesta di eroi dal sapore antico, ancora alla soglia del Terzo Millennio. E giusto alla soglia del livello d’ematocrito, sottosopra la soglia del ridicolo. La vera notizia bomba – prescritta quella bombata – esplode all’annuncio di Milram e T-Mobile: nonostante tutto, c’è il rinnovo dei contratti di sponsorizzazione. Di più. C’è l’intenzione d’investire nel futuro (Riccò con Petacchi? Cancellara con Rogers?). La stessa Gerolsteiner potrebbe continuare oltre il 2008. Chi si stupisce del fenomeno dimentica che ai tempi dell’affare Festina, l’affare lo fece la Festina: il suo ROI giunse puntuale come un orologio svizzero, nonostante la confessione di Zülle e compagni. Il bello del ciclismo è anche che paga.
2. Come se dopo le rivelazioni di Bjarne Riis, quel Tour 1996 dovesse essere davvero riassegnato: ma a chi poi, al secondo Jan Ullrich o al terzo arrivato Richard Virenque?
3. «La salita più dura d’Europa» ha concesso gli stessi distacchi della terza o quarta ascesa dell’Irpinia, affrontata a inizio Giro. Alessandro Petacchi ha pagato poco più di 11′, a Montevergine di Mercogliano. Esattamente come sullo Zoncolan. A Briançon aveva accusato un ritardo di oltre mezz’ora. Lo stesso a Lavaredo. Direbbe Jacques II de Chabannes de La Palice: «Mais oui, la corsa la fanno i corridori». C’è dell’altro: per carità, nel disegno di un percorso va benissimo il particolare del «mostro della Carnia». Ma in generale impressionano molto di più cronometro e tapponi in sequenza. Esempio: la Grande Boucle del prossimo luglio mette in fila un clm di 54 Km e due frazioni pirenaiche consecutive. La tre-giorni (21-23/7) viene dopo le Alpi e appena prima di un’ultima fatica verso il Col d’Aubisque. Sulla carta, un quarto del gruppo è a rischio tempo massimo. Minimo. Più difficile il Giro? Più difficile il Tour? Robbie McEwen si ritira sempre a metà Giro, solo perché vuole preparare il Tour. E spesso si ritira a metà Tour: solo perché non vede l’ora di ritirarsi dal Tour.
4. Come se Eddy Mazzoleni, maglia rosa tra Tre Croci e Tre Cime, si fosse poi imposto in un Giro che aveva escluso Gontchar, Plaza, Zaballa, Hamilton, Jaksche, Scarponi e Basso (Ivan, mica Elisa).
5. Rapido Giro d’opinioni, giusto per scombinare la lettura degli ordini d’arrivo. Visto Alessandro Petacchi guadagnare (molto) in resistenza e perdere (poco) in esplosività. I Tinkoff si sono fatti notare per i primi cento-centocinquanta chilometri. Danilo Napolitano si è fatto notare per gli ultimi cinquanta metri. Paride Grillo si è fatto notare per il suo taglio di capelli. Visto il campione del mondo e campione d’Italia in carica (nonché campione olimpico) farsi infinocchiare nientemeno che da Kurt-Asle Arvesen. Stefano Garzelli ha corso con cervello fino. Thor Hushovd ha corso con il fiato grosso. Visto Leonardo Piepoli spianare salite di tutte le categorie. Visto Paolo Savoldelli fare dell’onesto gregariato. Visto poco o niente Davide Rebellin. TGiro ha patito l’assenza di Gigi Sgarbozza. Il Processo alla tappa ha patito la presenza di Marino Bartoletti. Andy Schleck è parso forse il più bello, in bicicletta. Emanuele Sella, spesso, il più brutto. Visti il figlio di Gilbert Duclos-Lassalle (Hervé) e quello di Stephen Roche (Nicholas). Meglio il secondo.

Francesco Vergani

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