Odiato e non rispettato

14 Giugno 2011 di Daniele Vecchi

di Daniele Vecchi
Differenze. Un giocatore odiato e rispettato, Michael Jordan. Un giocatore odiato ma non (ancora) rispettato, LeBron James. Ritorna a giocare nella sua Cleveland, e il coro più carino che gli ex-devoti gli riservano è “Scot-Tie-Pip-Pen!!”, per sottolineare il fatto che, anche in caso di una sua vittoria con gli Heat, sarà per sempre il secondo violino (il primo ovviamente sarebbe stato Dwyane Wade).
Gioca a Los Angeles e lo Staples lo subissa di fischi nella partita di Natale, reo di aver rubato il palcoscenico a Kobe mettendone 27 in scioltezza, in una “vulgar display of power”, come direbbero i Pantera. Gioca a New York e i cartelli con scritto “LeBron…Who?!?” si sprecano, dopo che James aveva per anni flirtato con i Knicks, promettendo invano tra le righe un futuro accordo con Gotham City. Gioca a Philadelphia e, come spesso accade nella Città dell’Amore Fraterno, ogni volta che ha la palla in mano il rumore del Wells Fargo Center sale vertiginosamente di decibel, come peraltro accade un po’ con tutti i personaggi un pò al di sopra delle righe che arrivano a calcare il parquet di Pattison South Philly. Insomma LeBron James è diventato l’uomo che ha tradito l’America, senza mezzi termini la faccia peggiore agli occhi dei tifosi NBA di qualsiasi squadra, giusto o sbagliato che sia. Abbiamo amato alla follia LeBron James, fin da quando vestiva la casacca verde Irish di St.Vincent-St.Mary ad Akron, Ohio, fin da quando Flavio Tranquillo disse “Eh sì, questo sembra proprio diverso”. Quel cocktail esplosivo di fisicità, velocità e visione di gioco ci ammaliò, soprattutto agli albori della sua carriera. Magic Johnson, più fisico di Magic Johnson, più veloce di Magic Johnson, più realizzatore di Magic Johnson, ma con meno occhi della tigre di Magic Johnson. Tutti però dicevano che su questo ci si poteva lavorare, lasciamolo crescere, il ragazzo. Paura a priori di ammettere che il Re è nudo? I suoi primi anni a Cleveland ci hanno sinceramente entusiasmato, le serie playoff contro Wizards, Nets e Pistons ai Playoff 2007 ci hanno regalato tra i più sanguigni momenti di basket “estremo”, e la Q Arena era il luogo del misfatto, la babylonia moderna, un luogo che trasudava proselitismo e adorazione tra i più estremi nel mondo sportivo. Tutti per uno, tutti per lui, King James. Anche la repentina sconfitta nelle NBA Finals di quell’anno non sembrò scalfire più di tanto la idolatrìa nei suoi confronti, tutti erano ancora i testimoni dell’alieno, tutti erano ancora all’incondizionato seguito del loro Dio cestistico. Qualcosa però ad un certo punto si ruppe, non si sa bene dove, non si sa bene quando, e le VERE spiegazioni di questa rottura non sono di certo disponibili a noi comuni mortali, rimangono giustamente un segreto che coinvolge solo le persone interessate, il resto sono fiumi di parole sprecate. C’è malumore nell’aria nell’estate 2010, e la situazione è pronta a diventare un ennesimo circo mediatico attorno a LeBron. Ci hanno costruito su un bello spettacolo, l’estate scorsa, con “The Decision”, spettacolo che però, con il qualunquista “senno di poi”, pare essere ritornato indietro al Chosen One come la peggiore delle maledizioni, rimanendo impresso nella storia del basket come lo spettacolo che ha portato milioni di appassionati di basket nel mondo ad adottare il motto “TUTTI, MA NON GLI HEAT!”. E alla fine, questi oltranzisti della giustizia divina hanno avuto ragione, testimoni del fatto che trasferire il proprio immenso talento da The Mistake on the Lake, Cleveland Ohio, e portarlo a South Beach, Miami Florida, non è servito a nulla, nessun nuovo anello alle dita di LeBron, e molte più domande che risposte a gravitare minacciosamente su di lui, all’alba dell’estate 2011. Ai tempi di The Decision, tutti, ma proprio tutti, si erano scagliati contro LeBron e gli Heat, persino Michael Jordan aveva espresso le sue perplessità sul LeBron James leader carismatico capace di portarsi il fardello di una squadra sulle spalle nel crunch time di una partita di playoff. La cosa che MJ digeriva di meno era la decisione di appoggiarsi a una superstar di pari livello (affiancati peraltro da un ottimo giocatore come Chris Bosh) per portare via un Titolo. Qualcuno avrebbe detto molti nemici molto onore, cosa peraltro quasi mai vera, ma questi Heat l’estate scorsa facevano comunque paura, paura vera, la paura che potessero uccidere la NBA per alcuni anni ha aleggiato nell’aria per parecchio tempo durante questa stagione, fino a giugno inoltrato. Alla fine invece, a sollevare il Trophy sono stati i Mavs, per la gioia (e un sospiro di sollievo) di tutti coloro che hanno aderito al movimento Anti-Heat, lasciando sul selciato la canotta numero 6 bianca e ferita di LeBron. Dopo due serie-playoff da dominatore, quella contro i Celtics e quella contro i Bulls, nel momento clou della stagione dove TUTTI, ma proprio tutti lo stavano aspettando al varco, The Chosen One si è trasformato in The Loser One. Gara 2 e Gara 5 delle Finals sono state l’emblema massimo della difficoltà di James a “salire di livello” (in inglese è “step up”), rimanendo timoroso e a tratti anonimo e irritante anche in Gara 6. Nessuno sa cosa sia passato per la testa di James in quei momenti, ma le sue difficoltà di approccio mentale alla gara erano tutte lì da vedere. Ci sarà ancora tempo, per gli Heat, per vincere una manciata di Titoli, ma mettiamo che la stagione 2011/12 cominci con l’handicap o non cominci proprio, nel 2012/13 LeBron e Dwyane saranno un anno più vecchi, e il tarlo del tempo che passa comincerà ad insinuarsi nella già (apparentemente) fragile psicologia di James. Non dimentichiamoci comunque che anche di Dirk Nowitzki, dopo le stagioni 2006 e 2007, si era celebrato il funerale sportivo, con tanto di veglia funebre e ricordi del compianto, salvo ri-incontrarlo sul tetto del mondo con un cappellino grigio di NBA Champ sulla testa bionda e con un paio di trofei di una certa importanza in mano. Certo è che Dirk è sempre sembrato (nei momenti peggiori e nei momenti migliori della sua carriera) molto meno arrogante e vanitoso e molto più terra-terra e dedito al lavoro di LeBron, ma questa, come direbbero alcuni valorosi e famosi colleghi televisivi, è semplice dietrologia. Aspettiamo con ansia l’ennesimo banco di prova per LeBron.
dani.vecchi@tiscali.it
 (in esclusiva per Indiscreto)

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