Non fare come Pantani

4 Maggio 2007 di Stefano Olivari

Dove andremo a finire, di questo Basso? Riceviamo e pubblichiamo.

Caro Ivan, ci conosciamo dai tempi in cui eri di casa a Lucca, quando il tuo ex team manager Bjiarne Rijs aveva ancora residenza qui e tu venivi ad allenarti e a soggiornare da lui, per collaborare anche con il dott. Luigi Cecchini. Vorrei ricordare che, prima di te, ho avuto occasione di collaborare da vicino con queste persone; anzi, sia l’uno che l’altro hanno cominciato a muovere i primi passi nel ciclismo internazionale proprio grazie a me. Rjis arrivò in Italia quando era ancora un atleta juniores, grazie al sottoscritto. E fu assistito proprio dal mio team nelle gare che svolse nel nostro paese, a partire dal Giro della Lunigiana. Mentre il secondo ha iniziato a fare il medico sportivo ed il preparatore atletico con la mia squadra, nel 1986. Ho avuto talmente tante esperienze nel mondo del ciclismo – basti pensare che quasi metà gruppo (tra atleti e personale) è passato tra le mie fila – che posso permettermi di parlare, ma soprattutto di rivolgermi a te. Queste esperienze mi hanno portato negli ultimi anni ad improntare la mia vita, in questo sport, in unica direzione: quella della guerra al doping e la tutela della salute degli atleti a 360°. Potrei spiegarti il motivo di questa mia lettera partendo da molto lontano. Tuttavia, anche se non è mia natura, cercherò di essere conciso e passerò subito al sodo. Devo ricordare a te e all’intero movimento ciclistico alcuni avvenimenti che, se fossero accaduti, avrebbero cambiato la storia e molto probabilmente avrebbero fatto sì che oggi non fossimo di fronte a tutti questi scandali, come quello che ti coinvolge in prima persona: perché sarebbero state sancite (quasi) sicuramente delle leggi importanti e certe regole sporche – tutt’oggi presenti – sarebbero state cancellate. E mi riferisco al mancato blitz da parte dei NAS alla carovana del Giro d’Italia proveniente dalla Grecia nel 1996, da me denunciato. Se non ci fosse stata la soffiata, tutte le squadre, compresa la mia, sarebbero state trovate con le mani nel sacco. Questo evento avrebbe provocato il finimondo ma sicuramente avrebbe cambiato le cose. Così come avrebbe potuto cambiarle Marco Pantani se solo mi avesse ascoltato; o ancora più di recente Mario Cipollini. Adesso puoi farlo tu. Per quanto riguarda Pantani: il giorno della vittoria a Madonna di Campiglio, a poche ore dallo scandalo, lo invitai infatti (tramite un’ANSA pubblicata solo dal «Corriere dello Sport Stadio», la mattina di sabato 5 giugno) a fare da trascinatore del gruppo nella guerra al doping. Se invece di torturarsi fino alla morte avesse risposto al mio invito, la storia sarebbe stata molto diversa, e magari Marco oggi sarebbe ancora qui tra noi. Purtroppo non sono stato ascoltato, anzi. Marco mi criticò aspramente, mentre Mario rispose che la campagna contro il doping non intendeva farla in quanto l’unica campagna che conosceva era quella in cui abitava: «In campagna io ci abito», disse. Io comunque non mi sono mai fermato. Nonostante la mia squadra sia stata tagliata fuori da molte delle competizioni più prestigiose, ho sempre continuato sulla mia strada, ho accettato le critiche, le bastonate, che per via di questi miei ideali tutti non hanno esitato a tirarmi addosso. È il prezzo che ho dovuto pagare (e tutt’oggi continuo a farlo) per portare avanti questa guerra: ma non mi tirerò mai indietro. La mia forza, comunque, sta nel fatto che la verità è un bene troppo importante e vale la pena dare tutto per essa. Oggi anche tu puoi fare altrettanto. Come Pantani (o Cipollini) ieri, tu hai oggi la possibilità di diventare il condottiero di questa battaglia. In questo momento sei l’unico in grado di far cambiare le cose, il solo che, confessando, possa salvare il ciclismo. Quindi, io ti scrivo affinché tu vada di fronte al Procuratore del CONI Torri e ti decida a raccontare tutta la verità, senza cadere nel tranello di chi ti prometterà di salvarti o di tirarti fuori da questa situazione. L’hanno già fatto in passato, complicandoti ancora di più la situazione. Tu sei un campione, lo sei sempre stato anche prima di incontrare Fuentes. Come Pantani, non avevi bisogno del doping e se lo hai fatto è stato soltanto per adeguarti al sistema, al business. Devi parlare Ivan, perché tu non sei il solo colpevole, come non lo sono tutti quegli atleti coinvolti nell’Operación Puerto. Quasi tutto il movimento ciclistico mondiale (a partire da molti juniores, per poi passare ai dilettanti, fino ai professionisti) oggi è sporco e colpevole. Sono sicuro che se troverai la forza ed il coraggio – proprio come ha fatto Manzano, sia in Spagna che in Italia – di voltare pagina, denunciando tutto il marcio che c’è in questo mondo e racconterai la verità, la gente ti amerà e ti apprezzerà ancora di più. Non mancheranno le critiche, le accuse, le bastonate – proprio come è accaduto a me – ma ne varrà la pena perché sarai stato vero e questo ti darà la forza di rialzarti e di affrontare qualsiasi squalifica e di tornare più forte di prima, in un ciclismo che magari grazie alle tue denunce sarà diverso, migliore. Toglierai quell’ombra oscura di doping che adesso ti avvolge e tutti capiranno chi è Ivan Basso. In questo modo salverai il futuro del ciclismo e diventerai ancor di più il simbolo di questo sport, il vero campione di tutti noi. Mi auguro che tu decida di ascoltarmi, seguendo gli ideali di amore e vita. Me lo auguro sia per il tuo bene – visto che se ti pentirai e collaborerai, andrai incontro ad una squalifica senz’altro minore – che per il bene del ciclismo, che mai più di adesso si trova in mano tua. Ivano Fanini

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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