Noi siamo Walcott

1 Marzo 2007 di Stefano Olivari

Anche quest’anno la Coppa di Lega inglese ha regalato grandi emozioni. Sono finiti i tempi in cui veniva snobbata, considerata alla stregua di una Coppa Italia qualsiasi e a vincerla erano squadre come il Leicester City o l’Oxford United. Domenica scorsa è stato ancora il Chelsea di Abramovich ad aggiudicarsi il trofeo, così come aveva fatto due anni fa, mentre l’anno scorso era stato il Manchester United a trionfare nella finale di Cardiff. Quello che però a noi è più rimasto impresso nella manifestazione di quest’anno è stata la finalista perdente, l’Arsenal. Non solo per quello che ha mostrato nella finale ma durante tutta la manifestazione. Infatti Wenger – l’allenatore che ha creato il “nuovo Arsenal” dando una nuova immagine al club – ha puntato tutto sui giovani. Quest’ultimi lo hanno ripagato con prestazioni eccezionali, con un impegno e una grinta che fanno star tranquilli e rilassati i tifosi dei Gunners per gli anni a venire. Perché al di là dei risultati avranno una squadra in grado di emozionarli, questo è sicuro. La prestazione più scintillante e che è rimasta negli occhi di tutti è forse quella di Liverpool, nei quarti di finale, lo scorso gennaio. Infatti i “baby Gunners” quella sera hanno impressionato Anfield sommergendo i Reds sotto una valanga di 6 gol (a 3). Benitez al contrario aveva deciso di schierare i titolari, pensando forse in cuor suo di fare un sol boccone dei ragazzini di Wenger. Julio Baptista (non più un giovane, ma una riserva di lusso presa dal Real Madrid nell’affare Reyes) è stato il mattatore della serata, infilando ben quattro reti e permettendosi anche il lusso di sbagliare un rigore nel finale. La vittoria però è stata merito soprattutto del catalano Fabregas in regia e del (relativamente) giovane Aliadiere in attacco, colui cioé che ha sbloccato il risultato dando il via alla goleada. Da menzionare poi le prestazioni dei quasi sconosciuti Hoyte, Traore, Denilson – un diciannovenne brasiliano proveniente dal San Paolo – Diaby, oltre al “fenomeno” Walcott , il diciassettenne che Eriksson decise a sorpresa di portare con sè ai Mondiali di Germania. In semifinale l’Arsenal ha trovato quindi gli avversari storici del Tottenham in un derby del nord di Londra che è sempre caldo, qualsiasi sia la posta in palio. Wenger ha deciso quindi di lasciare ancora fuori quasi tutti i titolari e dare spazio ai ragazzini terribili. Che anche stavolta lo hanno ripagato con due prestazioni super, andando a strappare un pareggio per 2 a 2 nell’andata a White Hart Lane (i Gunners erano andati sotto per 2 a 0) per poi conquistare la finale con una sofferta ma emozionantissima vittoria per 3 a 2 ai supplementari nella partita di ritorno, in un Emirates Stadium gremito e orgoglioso. Dopo aver conquistato l’accesso a Cardiff e la possibilità quindi di giocarsela con il Chelsea, è proprio qui che l’allenatore alsaziano ha dimostrato tutto il suo coraggio e la sua convinzione nei mezzi di questi giovani calciatori. Infatti, ai vari Terry, Makelele, Ballack, Lampard, Drogba e Shevchenko schierati da Mourinho, Wenger ha risposto con questa formazione: in porta lo spagnolo Almunia, a volte incerto ma che comunque la finale se l’era guadagnata, in difesa i due centrali Touré e Senderos con ai lati Hoyte e Traore, a centrocampo Fabregas a dettare i tempi e recuperare palloni, affiancato dal giovane francese Diaby, mentre sulla destra il giovane Walcott e sulla sinistra il brasiliano Denilson avevano il compito di scorazzare su e giù per le fasce. In attacco il già citato Aliadiere, affirancato dal più esperto Baptista. L’inizio dell’Arsenal è stato scintillante, con il gol in apertura di Walcott e con il Chelsea in evidente imbarazzo. Poi ci ha pensato Drogba con una doppietta a ristabilire l’ordine delle cose e a consentire al Chelsea di intascare l’ennesimo trofeo dell’era Abramovich. A Wenger comunque i complimenti per la fiducia riposta in questi ragazzi durante tutto il torneo, non voltandogli le spalle proprio all’atto finale come qualche allenatore italiano fa. Perché nei giovani si può credere o non credere: nessuno dei due atteggiamenti è a priori sbagliato, nel calcio di vertice. L’importante è avere, se non il mitico ‘progetto’, almeno una linea.

Luca Ferrato
ferratoluca@hotmail.com

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