Nazionale da passeggio

11 Febbraio 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

1. Da una ventina d’anni, cioè da quando anche in Italia è nata la figura del giornalista-personaggio, diamo tristemente per scontato che le telecronache riguardanti i club italiani siano faziose-tifose. Stupidamente faziose, diremmo: perchè, per fare due esempi, sono molti di più gli anti-interisti o gli anti-juventini rispetto agli interisti o agli juventini (il grigio e affascinante equilibrio di un Giuseppe Albertini non lo prendiamo nemmeno in considerazione). Però con la Nazionale non riusciamo ad abituarci al clima di unanimismo tifoso che avvolge ogni frase, ogni commento, ogni collegamento. La Nazionale non coinvolge solo tifosi, ma milioni di persone che seguono il calcio solo saltuariamente e che non meritano di essere militarizzate. Il Brasile-Italia dell’Emirates non ha fatto eccezione: partita inutilissima, a parte che per i due milioni di euro che le squadre si sono spartiti, decisa come sempre da episodi (il gol annullato a Grosso) ma giocata molto meglio dal Brasile a livello di atteggiamento (raramente, anche nell’era Dunga, si era visto un pressing simile) e di ispirazione dei singoli.
2. Però, secondo il bordocampista Paris, Dunga ‘protesta con atteggiamento animalesco’ (mezzo secondo dopo queste parole inquadratura sul c.t. brasiliano, in piedi con faccia arrabbiata ma non più dello Spalletti medio). E secondo il commentatore Bagni, quello che incitava Ferrara a fare male a Moeller nella finale di Champions 1997 (il famoso esempio per i giovani), i brasiliani facendo melina si meritavano le entrate fallose degli azzurri. E secondo tutti nessun azzurro a livello basso (mettiamo Cannavaro, Pirlo, Gilardino, Di Natale), ma solo un fenomeno (Zambrotta, omaggiato in stile ‘generoso Graziani’) e ‘compagni che sbagliano’ con la scusante di pensare al campionato (mentre Maicon e Ronaldinho la domenica vanno al parco). Per non dire della povertà del contorno: lo strombazzato ‘derby del mondo’ è stato analizzato in due secondi dal solito Lippi senza contraddittorio (”Abbiamo perso? Vedremo fra un anno e mezzo. L’atteggiamento? Forse timore reverenziale”), dalle risposte svogliate di uno dei peggiori in campo (Pepe) e da pochi altri. Va anche detto che Sky e Mediaset (probabilmente anche La7, visto il ridicolo da estasi mistica toccato con il contorno al Sei Nazioni) come caricamento dei toni avrebbero fatto peggio, quindi alla fine teniamoci RaiUno.
3. Un fenomeno curioso è che in occasione delle partite della Nazionale ci siano talebani del tifo di club che preferiscono seguire il dibattito sulla loro squadra nei canali locali (arriverà o no a Torino il padre di Diego?) piuttosto che guardare Italia-Brasile: con tutti i limiti delle amichevoli, pur sempre i campioni del mondo contro la squadra più seguita nel mondo. Così gli esperti di flussi Auditel spiegano i risultati buoni ma non buonissimi degli azzurri: ieri mediamente la partita è stata seguita da 9.816.000 spettatori, con il 32,79% di share. In termini di share, solo 5 punti meglio del recente Juve-Napoli di Coppa Italia (e solo uno meglio del Grande Fratello nella serata del grande sciacallaggio giornalistico su Eluana, rifiutato dagli italiani). In termini di composizione del pubblico come al solito risultati molto diversi dal calcio di club: con più donne, più spettatori occasionali, una distribuzione geografica più equilibrata. Fossimo uno sponsor preferiremmo un quadratino nei backdrop azzurri che in quelli dei soliti noti, ma il modo in cui vengono distribuiti i budget pubblicitari è tristemente noto.
4. Il ‘Dove sono adesso’ del giorno è dedicato ad Hans Dieter Mirnegg (richiesta cult di Felix), discreto difensore austriaco nel Como 1981-82 (allenatori Pippo Marchioro e Gianni Seghedoni: in quella stagione fra l’altro esordì in A un giovanissimo Stefano Borgonovo), ed anche nella nazionale (senza Mondiali, però) dell’era PezzeyProhaskaKrankl. Nessuna evoluzione strana, dopo il ritiro è diventato allenatore: il top in questa seconda carriera l’ha raggiunto al Lask Linz e al Red Bull Salisburgo (come vice) di quattro anni fa.
5. Fino a stamattina non sapevamo spiegare bene il nostro amore per gli anni Ottanta, anche perchè gli anni dell’infanzia felice (più i sogni di gloria, Panatta e Jura) sono stati per noi i Settanta. Poi un amico ci ha mandato il video dello spot della Sakura di cui gli avevamo parlato mille volte, ed abbiamo capito: quegli anni erano un misto di lucida follia, di ottimismo generale e di sicurezze create dal lavoro delle generazioni precedenti. Tutto questo e molto di più nel leggendario commercial di ‘Orologio Italia’, senza dubbio il più brutto orologio mai creato nella storia. Con testimonial un Franco Baresi ventitreenne, al quale un copy sotto Lsd fa dire, mentre passeggia abbracciando una ragazza in una specie di canneto, una frase sublimemente trash riferita a questo gioiello della tecnologia: ”E’ anche da passeggio”. E’ anche da passeggio!!! Secondo alcuni intellettuali dell’epoca c’era un doppio senso, riferito alla ragazza, ma noi pubblico di Rai Uno (abbiamo seguito anche ogni fotogramma di ‘Raccontami’, con un Massimo Ghini a livelli strepitosi) siamo sempre per il primo livello di lettura. Da ricordare anche l’inizio dello spot, con bambini tipo merendina Ferrero, ed il finale con degli pseudo-amici con maglietta azzurra e chitarra. Inutile dire che la Sakura (azienda milanese, a dispetto del nome: sede in via Mauro Macchi) qualche anno dopo è fallita, non prima di aver messo sul mercato modelli di superculto: su tutti il Sakura Fuego, con accendino incorporato, una cosa che avrebbe spaventato Muzio Scevola.
stefano@indiscreto.it
(appuntamento a domani, verso mezzogiorno)
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